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Forse un giorno sarà chiamato “la Bibbia”: la bibbia dell’Italia risorta. Il Pnrr è un documento, se non sacro, almeno – speriamo – profetico. Le sue pagine raccontano, in spirito di profezia, il da farsi per risollevare il nostro Paese da una stagnazione ventennale, innalzare il Pil effettivo e – qui è il difficile – anche quello potenziale, rimuovendo antiche magagne. E quello che più si apprezza – l’apprezzamento è specialmente caloroso nel nostro Quotidiano del Sud – è che il Pnrr è percorso da un filo rosso che annoda la ripresa dell’Italia con la ripresa del Meridione. Che la famosa “questione meridionale” possa essere finalmente avviata a soluzione?

LE PROPOSTE

Al corale apprezzamento per la fattura del Pnrr si accoda la “Fondazione Mezzogiorno” che, in un rapporto appena uscito, auspica, analizza e propone. Non ci soffermiamo sugli auspici, che ben si conoscono. E neanche sulle analisi, che concordano con tante disamine del dualismo italiano. Rimangono le proposte, che sono puntuali e concrete. Il ragionamento parte dal fatto che ci sono tempi brevi, tempi medi e tempi lunghi per rimuovere le magagne. Perché la linfa della crescita giunga a percolare nel tessuto sociale, in quello istituzionale e in quello produttivo, ci vorrà tempo. Ma è possibile accelerare il processo facendo leva sull’esistente e modificando le convenienze. Insomma, incentivando.

Giustamente, il Pnrr fa riferimento alla «predisposizione di uno schema di disegno di legge in materia di incentivazione alle imprese», che dovrebbe dedicare una particolare attenzione «alle attività economiche ubicate nel Mezzogiorno d’Italia». Le “convenienze” da modificare riguardano sia gli investimenti nel Sud in provenienza dal resto d’Italia, sia quelli dall’estero. I dati più recenti sugli investimenti diretti esteri (Ide) – ricorda il Rapporto – «sono quanto mai eloquenti: la quota italiana si attesta sul 2% (per il 58% concentrata nel Nord Ovest)…, a fronte di valori pari al 18% in Francia e al 17% in Inghilterra e Germania (EY Attractiveness Survey, 2021)». Certamente, di incentivi ce ne sono già – forse anche troppi. La Relazione del Mise sugli interventi di sostegno alle attività produttive (Mise) ne censisce ben 1.252 e a questi si aggiungono strumenti regionali spesso rivolti ai medesimi obiettivi. È chiaro che c’è bisogno di razionalizzare, ridurre e concentrare.

La stessa Relazione indica – scrive il rapporto della Fondazione Mezzogiorno – che «nel periodo 2014-2019 gli investimenti agevolati nel periodo 2014/2019 sono stati mediamente pari a 17,5 miliardi l’anno, di cui 13,9 miliardi nel Centro-Nord (79,7%) e 2,9 miliardi nel Mezzogiorno (16,6%) (0,7 miliardi sono multi-localizzati)».

IL TEOREMA CAROLLO

Alle pagine 10 e 11 troverete per esteso le proposte di “rifondazione” degli incentivi. Certamente, le modifiche proposte costano, e i puristi sentiranno odore di “teorema Carollo”. Vincenzo Carollo era (è mancato nel 2013) un senatore dc siciliano degli anni Settanta, iscritto a suo tempo alla P2 e sostenitore, appunto, dell’eponimo teorema: invece di dire «datemi una leva e solleverò il mondo», diceva: «la spesa pubblica si finanzia da sola». Se la Ragioneria negava il famoso “bollino” a qualche proposta di spesa da lui sponsorizzata (e ne sponsorizzava a bizzeffe) perché mancava la copertura, lui obiettava che questo atteggiamento denota grettezza d’animo e assenza di lungimiranza: la spesa stimola l’economia, crea redditi e consumi, e di qui un maggiore gettito fiscale che viene così a coprire la spesa iniziale.

Naturalmente, questo “teorema” può essere abusato: usato, cioè, per giustificare ogni e qualsiasi aumento di spesa, tanto che l’espressione “teorema Carollo” finì quasi per diventare un termine di dileggio. Ma questo non vuol dire che il buon senatore avesse sempre e immancabilmente torto. Il teorema era in fondo basato sull’intuizione originale di Keynes: se ci sono nell’economia risorse inutilizzate – di lavoro (disoccupazione) o di capitale (capacità produttiva) – una maggiore spesa pubblica (o una riduzione di imposte) può mettere in moto un meccanismo moltiplicativo che porta più gettito fiscale. Se il maggiore gettito fiscale (e/o la minore spesa di sostegno ai redditi) innescati dallo stimolo porta a una copertura parziale o totale della spesa iniziale, dipende da vari altri parametri del bilancio e dell’economia. Ma è indubbio che una copertura almeno parziale c’è.

DYNAMIC SCORING

Negli Stati Uniti non hanno mai sentito parlare del “teorema Carollo”, ma il meccanismo sottostante è ben conosciuto e porta il nome, meno casareccio, di dynamic scoring: i “punti” della copertura non devono essere valutati in modo statico («gretto», avrebbe detto il senatore), qui e subito, ma in un prosieguo di tempo, in modo, appunto, dynamic.

Nel marzo 2012 uno studio di due celebrati economisti, Lawrence Summers e Bradford DeLong, aveva concluso che uno stimolo bene inteso si può interamente autofinanziare. In conclusione, il teorema Carollo è qualcosa che può valere o non valere a seconda delle circostanze. Il problema è che le misure in deficit hanno sempre destato istintive diffidenze: sembrano cose troppo facili, fughe irresponsabili e pericolose dai principi della buona amministrazione. Ma è una nomea non meritata: escluderle per principio dal novero delle misure possibili sarebbe altrettanto goffo quanto rifiutare, durante una siccità nei campi, di aprire i canali di irrigazione per paura di causare inondazioni.

Le circostanze presenti, in Europa, in Italia e specialmente nel Mezzogiorno (dove abitano amplissimi margini di risorse inutilizzate), giustificano una rivisitazione di misure in disavanzo, da spesa o da incentivazioni, nel senso “carolliano” (o dynamic) di misure la cui copertura è susseguente e non contemporanea. Il governo, se vuole indulgere in un po’ di “pensiero laterale” (meglio non chiamarlo “teorema Carollo”), dovrebbe farsi promotore di questi provvedimenti: solo gettando il cuore oltre l’ostacolo si può far uscire l’economia dalle secche.


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