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Il Piano nazionale di resistenza e resilienza

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Lancio una proposta non facile da accettare e, soprattutto, non facile da comprendere; prima di esporla parto da un’analisi delle procedure che le varie Amministrazioni, le varie stazioni appaltanti pubbliche grandi, medie e piccole dovranno effettuare per consentire, davvero, l’apertura dei cantieri.

Allo stato attuale, cioè a cinque anni dal 31 dicembre del 2026, non è stato approvato nessun progetto inserito nel PNRR, non è stato approvato nessun intervento del Programma complementare al PNRR, non esistono, forse, neanche le proposte progettuali inserite in ciò che non è neppure stato ancora impegnato nel Programma 2014 – 2020 del Fondo di Sviluppo e Coesione, né del Programma 2021 – 2027.

In modo corretto e previgente la Società Rete Ferroviaria Italiana ha prodotto un cronoprogramma delle opere di propria competenza ed è emerso che i primi cantieri, relativi a nuove opere ferroviarie inserite nel Recovery Plan, si apriranno non prima del 2024.

Poi ci sono le opere di competenza delle realtà urbane, in particolare quelle legate alla realizzazione di reti metropolitane, quelle relative alla rigenerazione urbana, alla realizzazione di interventi ecosostenibili; infine ci sono gli interventi mirati alla ottimizzazione delle interazioni tra i nodi portuali ed il vasto tessuto socio economico che caratterizza la retroportualità. In realtà ci sono interventi sia per il rilancio della nostra offerta portuale, attraverso la creazione di grandi infrastrutture come la nuova diga foranea del porto di Genova, sia interventi mirati al rilancio della nostra efficienza logistica attraverso il rilancio della nostra rete degli interporti.

Mi limito alla sola componente legata all’attuale offerta trasportistica, una offerta che per la grave carenza intrinseca, per l’assenza di interventi organici negli ultimi sei anni, rappresenta, con una perdita annuale di 60 miliardi per la nostra economia, una vera zavorra per la crescita dell’intero Paese. Ebbene, questa complessa operazione, come detto prima e come indicato dallo stesso cronoprogramma della Società Rete Ferroviaria Italiana, difficilmente potrà rispettare le scadenze imposte dalla Unione Europea, ma, ancora peggio, difficilmente potrà onorare quanto imposto, sempre dalla Unione Europea, relativo sia al Programma di 30 miliardi di euro (residuo del Programma 2014 – 2020 del Fondo di Sviluppo e Coesione la cui scadenza è il 31.12.2023), sia al Programma, sempre del Fondo Sviluppo e Coesione, 2021 – 2027 la cui scadenza è il 31.12.2027.

Ed allora dobbiamo in questi giorni, sì entro e non oltre la fine dell’anno, definire come possiamo evitare un simile drammatico fallimento programmatico e gestionale. È un allarme che già era emerso nel luglio di quest’anno quando il Parlamento ha approvato il Contratto di Programma di Rete Ferroviaria Italiana; in tale Contratto è stata inserita una clausola in cui viene precisato che qualora emergessero ritardi e criticità nell’avanzamento di alcune opere previste nel PNRR le relative risorse saranno destinate ad altri comparti, ad altri progetti sempre del sistema ferroviario.

Ma quale è la proposta, quale è uno dei possibili itinerari capace di trasformare le attuali logiche, sì anche quelle rese, proprio dai provvedimenti presenti nell’ultimo Decreto Legge Infrastrutture, meno vincolanti, quali sono le scelte organizzative che potranno consentire l’avvio di una manovra così complessa? Non ha senso invocare l’esempio del “viadotto di Genova”; quello era un’opera singola, era un’opera ubicata in un territorio circoscritto. Ed allora non rimane che coinvolgere, da subito il privato, sì gli organismi e le strutture industriali del Paese. Non posso non ricordare la esperienza della rete ferroviaria ad alta velocità; Lorenzo Necci volle, giustamente, di intesa con il Governo dell’epoca, coinvolgere le tre più grandi realtà industriali del Paese: l’ENI, l’IRI e la FIAT e dopo, per l’asse Milano – Genova, anche la Montedison. Questa proposta Lorenzo Necci la sottopose al Consiglio di Stato e ne ottenne la piena condivisione. È un errore imitare il passato? È una motivazione a mio avviso gratuita quella che banalmente ad una simile proposta risponde “non esistono più realtà come quella della FIAT e dell’IRI. Non si tratta di rincorrere realtà che non esistono più si vuole solo ricordare un modello che ha funzionato.

È un impegno quello che si vorrebbe attuare che, sia per il tempo limitato, sia per l’approccio, sia per le abitudini consolidate della Pubblica Amministrazione, non sarà facile onorare con riforme o con strumenti legislativi finalizzati a sbloccare vincoli e procedure che, purtroppo, sono talmente strutturati da non essere, in nessun modo, modificabili. Lo so oggi è rimasta, con le stesse caratteristiche del 1991, cioè rispetto a trenta anni fa, solo l’ENI ma sono sicuro che se la Pubblica Amministrazione chiedesse formalmente il coinvolgimento di organismi privati questa mia ipotesi, ritenuta, sono sicuro, da molti folle, diventerebbe possibile e concreta.
Ricordo che la realizzazione di 1000 nuovi chilometri di rete ferroviaria ad alta velocità ha praticamente cambiato le caratteristiche dell’offerta ferroviaria in Italia; alcuni nodi stazione sono stati o realizzati integralmente come Reggio Emilia, Bologna, Afragola o reinventati come Roma Termini e Milano; si è reinventata integralmente la tecnologia della rete con l’utilizzo del sistema denominato ERTMS con cui si è aumentata al massimo la sicurezza e la capacità; si sono cambiate integralmente le caratteristiche del materiale rotabile.

Questa grande esperienza programmatica e manageriale è stata possibile, ripeto, grazie al coinvolgimento dei privati; l’intera operazione è iniziata proceduralmente nel 1991, le progettualità sono state soggette alla verifica di Conferenze dei Servizi in cui era obbligatoria la unanimità, e i primi cantieri si sono aperti nel 1994 – 1996 e, escluso la tratta Verona – Vicenza – Padova, si sono conclusi nel 2006. La intera operazione è costata circa 44 miliardi di euro ed è durata come fase realizzativa circa 12 anni. È costata molto? Non credo. Si sono impiegati molti anni? Non credo. Oggi è una realtà che tutti apprezzano. Insisto questa operazione è stata possibile grazie al coinvolgimento dei privati.

Già in diversi miei contributi prodotti nei blog “Stanze di Ercole” ho ricordato alcuni vantaggi immediati di una tale collaborazione quali in particolare:


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  1. La possibilità di ottimizzare al massimo la disponibilità delle risorse del PNRR, in realtà potremmo realizzare, come minimo, un terzo in più di quanto programmato e messo a disposizione del Recovery Fund
  2. La possibilità di ricorrere al “canone di disponibilità” gestendo meglio le risorse disponibili oggi
  3. La possibilità di disporre di un management qualificato e soprattutto la possibilità di disporre di un personale che oggi la Pubblica Amministrazione non ha e non potrà avere nel breve periodo
    Unica accortezza in una operazione del genere dovrà essere quella di non privilegiare solo i progetti che producono un immediato ritorno di investimento e quindi non dovranno privilegiare le proposte ed i progetti ubicati nel Nord del Paese, per questo sarà bene ed opportuno che in una simile iniziativa siano presenti soggetti e capitali privati del Sud del Paese.
    Difficilmente si prenderà in considerazione oggi una simile proposta; sono convinto però che quando nel 2023 si effettuerà una verifica sull’avanzamento dell’intero programma allora questa proposta diventerà obbligata. Peccato che nel 2023 sarà troppo tardi.
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