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Matteo Salvini e Giorgia Meloni

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IL CENTROSINISTRA ha vinto le elezioni amministrative. Dopo Milano, Bologna e Napoli al primo turno, si è aggiustato al ballottaggio anche le fondamentali piazze di Roma e Torino, cinque anni fa teatro del travolgente successo grillino. Se avesse espugnato pure Trieste si sarebbe potuto parlare di Caporetto per il centrodestra. Così è stata “solo” una debacle, che ovviamente non muta il segno politico del responso elettorale.

Il centrosinistra ha prevalso in un deserto di partecipazione, con la Capitale e altri capoluoghi di regione vicini al 60 per cento di astensionismo. Un dato enorme che scuote la rappresentatività dei primi cittadini ma in realtà è un Requiem per tutto il sistema politico con rischi da non sottovalutare per la democrazia. È un gap che va assolutamente recuperato: purtroppo le geremiadi sulla disaffezione arrivano puntuali al momento del voto per evaporare con assoluta rapidità quando i seggi sono chiusi. Ma sei cittadini su dieci che voltano le spalle alle urne sono un buco nero che rischia di inghiottire tutto e tutti. 

E adesso che succede? Il Pd ed il suo segretario Enrico Letta possono appuntarsi sul petto medaglie di assoluto valore. L’alleanza con il M5S ha funzionato nel senso che hanno vinto – e in molti casi stravinto – i candidati espressione del Nazareno. Il che significa che i rapporti di forza nel centrosinistra sono ormai rovesciati: il MoVimento può aspirare al massimo al ruolo di junior partner. Se vi si acconcia bene; in caso contrario una eventuale scelta isolazionista avrebbe come risultato l’irrilevanza o addirittura l’estinzione.  Il dato più eclatante e maggiormente gravido di conseguenze riguarda tuttavia il centrodestra.

Il duo Salvini-Meloni esce dai ballottaggi come un pugile suonato. Aver sbagliato i candidati, che pure è vero, suona come giustificazione consolatoria. La realtà è che una fetta consistente del suo elettorato non è andata a votare, è rimasta a casa.  Si possono mettere in campo molte spiegazioni: quella che maggiormente risalta e convince è che gli italiani moderati e non di sinistra non hanno apprezzato le incertezze sul green pass e i vezzeggiamenti contro l’area più estrema della protesta.

La battaglia contro il Covid è, fortunatamente, in via di positiva soluzione: magari gli elettori hanno apprezzato più questo che le strumentali lamentele sulla libertà perduta o la farneticanti denunce di dittatura sanitaria.  E poi c’è una valutazione più complessiva. Chi è andato a votare ha premiato la competenza e la professionalità, compresa quella politica che non è una bestemmia,  rispetto a figure di scarsa credibilità uscite dal cilindro degli infiniti tira e molla tra Salvini e Meloni. I quali risultano entrambi sconfitti e ridimensionati nelle loro rispettive leadership. Più che aver puntato sui cavalli sbagliati, non hanno compreso e tanto meno intercettato il sentimento profondo dei cittadini.  Si sono posti in una dimensione “altra” che o non è stata capita oppure, se compresa, rifiutata. In più li ha penalizzati il balletto attorno al governo Draghi e alla maggioranza che lo sostiene. Un pezzo di qua e uno dei là non è la strategia migliore per suscitare entusiasmo e stimolare consenso. Con la conseguenza, paradossale fino ad un certo punto, che né il leader della Lega né quella di Fdi hanno per l’immediato una strategia politica. Infatti stare al governo e usare mezzi e atteggiamenti da opposizione non ha giovato a Salvini i cui elettori alla fine non hanno capito cosa davvero volesse.

Stare all’opposizione attaccando la maggioranza sui sistemi vaccinali e sulla strategia riformista per il Pnrr, nonché nel contempo gareggiare con il Carroccio per chi risulta primo in una gara solo virtuale, ha lesionato l’immagine di Giorgia Meloni, togliendole autorevolezza e affidabilità; altresì derubricando e sminuendo nello schieramento di centrodestra le sue potenzialità di eventuale premiership.

Bisogna al contrario dare atto a Forza Italia e Silvio Berlusconi di aver potuto riempire, poco importa se parzialmente, il carniere dei successi sul territorio dimostrando coerenza e unità di indirizzo nel sostenere il presidente del Consiglio nella sua azione di governo, prendendo nettamente le distanze da No Vax e no Green Pass, e orientando le sue scelte sul meridiano di Bruxelles invece che accarezzare per il verso del pelo, velleitarie e pericolose sollecitazioni ribellistiche. 

Quanto peseranno i risultati amministrativi sul quadro politico nazionale? Immaginare rivolgimenti e terremoti è fuorviante. Certamente il Pd ha acquisito peso come azionista della maggioranza. E perciò insisterà per far emergere il suo profilo e la sua identità nelle scelte finali. Senza però tirare groppo la corda: una crisi adesso sarebbe tanto incomprensibile quanto esiziale e disperderebbe il vantaggio acquisito. Salvini e Meloni continueranno ad essere due facce della stessa medaglia pur se prima o poi un redde rationem sarà necessario e ci vorrà molto “affetto politico” per trovare la quadra.

Quanto a Berlusconi si farà attrarre dalle sirene di una eventuale maggioranza Ursula assieme al Pd e Cinquestelle? Se in cambio ottenesse il via libera per il Colle, senz’altro sì. In caso contrario e privo di quella suggestione, pur se la politica italiana ci ha da tempo abituato a qualsiasi giravolta non è semplice immaginare che l’inventore del centrodestra possa destrutturarlo per cambiare campo.

Infine: che farà SuperMario Draghi? Semplice, continuerà a governare come ha fatto finora. È la cosa che gli riesce meglio, fortunatamente per il Paese.


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