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La soluzione del problema Autostrade non sarà né rapida né indolore. Non a caso è stato comunicato che non verrà rispettata la scadenza di domani per l’accordo che apre la strada all’intervento di Cdp. Facile immaginare che nessuno abbia voglia di firmare un documento che rischia di trascinarlo in tribunale. Gli azionisti di Autostrade e anche quelli di Atlantia sono intenzionati ad aprire il fuoco di carta bollata. E non sono solo gli hedge fund inglesi e americani che hanno annunciato ricorsi a raffica.

I nomi sono molto più pesanti considerando che il 12% di Aspi è diviso tra il fondo sovrano cinese Silk Road (dunque il governo di Pechino) e la holding che riunisce interessi di gran blasone in Germania (Allianz) e in Francia (Edf). Per non parlare di quello che succede al piano superiore dove sono presenti, fra gli altri, il governo di Singapore con il suo fondo sovrano e gli americani di Blackrock, il più grande gestore di risparmio del mondo.

A tutti il piano voluto dal governo imporrà pesanti perdite e, in qualche caso, come in Autostrade, l’azzeramento del valore della partecipazione. E per che cosa? Per un ricatto che lo Stato italiano ha esercitato sulla famiglia Benetton azionista di riferimento del gruppo. La minaccia è stata esercita agitando la mannaia della revoca della concessione autostradale. Un comportamento più simile ad un avvertimento mafioso che non alle regole di uno stato di diritto.

Il problema è molto semplice: nonostante il frastuono della politica, l’indignazione dell’opinione pubblica, il dolore dei familiari delle vittime non c’è ancora nessuna certezza sulle cause del crollo del Ponte Morandi. Il processo, dopo due anni, è ancora in fase istruttoria e dunque lontanissimo dall’accertamento delle responsabilità.. Non a caso il ministro De Micheli, in una lettera che riportava il parere dell’Avvocatura dello Stato, avvertiva Conte dei pericoli di una decisione troppo affrettata. Una revoca intempestiva esponeva lo Stato italiano a penali gigantesche. Da qui la decisione del governo di percorrere la strada alternativa con l’ultimatum ai Benetton di uscire dal casello di Autostrade senza fare tante storie. C’è però un problema: la dinastia trevigiana è azionista solo al 30%.

Poi ci sono gli altri che da questo patto verranno gravemente danneggiati e non hanno nessuna intenzione di tacere. I soci di Aspi dopo l’intervento di Cdp vedranno crollare il valore dell’investimento. Senza contare che si troveranno coinvolti in una società i cui guadagni crolleranno per ordine del governo che ha deciso di cambiare in corsa il sistema delle tariffe. Non meno lesivo quello che accadrà ai soci di Atlantia: saranno privati del cespite più importante e per punizione non incasseranno dividendi per due anni. Difficile pensare che forzature tanto gravi passeranno senza reazioni. La credibilità internazionale dell’Italia sarà sicuramente danneggiata. Chi mai vorrà investire in un Paese che cambia le regole per semplici ragioni di opportunità politica. Una tragedia dalle conseguenze impensabili.

In questo senso c’è un precedente lontano che vale la pensa ricordare. Risale al 1991 con il fallimento di Federconsorzi. Il Tesoro si rifiutò di onorare i debiti sostenendo che non era una azienda pubblica. Tutti, però, la ritenevano tale. Compresi i dirigenti che nutrivano clientele politiche per conto dei partiti di riferimento (soprattutto Dc e Pci). Le banche e gli altri finanziatori se la legarono al dito. L’anno dopo, nel 1992, la speculazione internazionale avrebbe fatto a pezzi la la lira, spaccato lo Sme e decretato la fine della Prima Repubblica. Fra le cause, oggi purtroppo dimenticate, proprio la perdita di credibilità dell’Italia per via di Federconsorzi.


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