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L’approvazione dal parte della Camera della riforma Cartabia della giustizia, dopo una non facile mediazione ed un doppio voto di fiducia sugli emendamenti governativi, costituisce un significativo passo in avanti nel cammino delle riforme. Anzitutto segnala che le riforme possono essere proposte dal Governo rispettando i tempi programmati, sollecitamente approvate dal Parlamento, giacché si prevede una altrettanto rapida approvazione da parte del Senato, e si confida che saranno attuate con la medesima tempestività, determinazione ed efficacia.

Insomma il metodo Draghi funziona, fatto come è di fermezza nei tempi e nei contenuti essenziali delle riforme, e della flessibilità necessaria per raccogliere un pur tortuoso e sofferto consenso di tutte le forze politiche che compongono una eterogenea maggioranza. Si avverte che il Presidente del Consiglio dei ministri, con realismo e senza enfasi, “dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile”, proprio come prescrive la costituzione.

Le misure approvate, per il rafforzamento degli apparati giudiziari e di riforma della giustizia penale, toccano gli aspetti sui quali si concentra l’attenzione generale. Lo si è visto dall’interesse suscitato e dalle polemiche concentrate sulla prescrizione dei reati e sui limiti di durata dei relativi processi di appello e di cassazione. Le singole soluzioni adottate possono suscitare qualche perplessità, e se ne potevano individuare di più lineari. Ma il giudizio complessivo non può che essere positivo. Si dimostra che, grazie anche alla necessità di rispettare i tempi collegati all’uso delle risorse finanziarie europee, si può andare avanti nelle riforme, speditamente e con una ampia convergenza politica.

È naturale che la giustizia penale abbia il maggiore impatto sull’opinione pubblica. In essa si esprime la potestà punitiva dello Stato ed è in gioco il bene che, dopo la vita e la salute, è di maggior valore per ogni individuo: la libertà personale e la onorabilità che il processo penale già intacca. Tuttavia non ha minore importanza l’andamento della giustizia civile, che egualmente riguarda la garanzia dei diritti e le attese della persona, che non si esauriscono negli interessi patrimoniali.

L’efficace e tempestivo funzionamento della giustizia civile non risponde solamente ad un interesse individuale, o comunque privato. Ha un effetto di sistema ed incide sull’andamento della economia. Da qualche tempo, si direbbe finalmente, si osserva che il buon funzionamento della giustizia civile condiziona gli investimenti e può determinare un incremento del prodotto interno lordo (PIL) stimato sino all’uno per cento. Certezza nell’applicazione delle regole, prevedibilità e stabilità della interpretazione dei giudici, rapidità nella soluzione delle controversie riducono i rischi degli investimenti e i costi nella produzione.

L’impegno assunto con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) prevede, tra gli obiettivi, la riduzione del 40 per cento della durata dei processi civili, che attualmente colloca il nostro Paese in fondo nelle graduatorie internazionali. Non è solamente una necessità occasionalmente imposta dalle istituzioni europee. La costituzione prevede che “la legge assicura la ragionevole durata” dei processi, di ogni processo. È un corollario essenziale del diritto di agire e resistere in giudizio.

Per ricondurre a un livello fisiologico la patologica durata dei processi civili è necessario aggredire lo stock dei processi arretrati: una specie di “debito pubblico giudiziario” che ci trasciniamo da molti anni. Mediamente Giudici di pace, Tribunali, Corti d’appello, e anche la Corte di Cassazione, riescono a smaltire annualmente un numero di processi mediamente pari o leggermente superiore a quelli che vengono introdotti. Negli ultimi cinque anni vi è stato un miglioramento nelle pendenze, ma occorrerebbe un anno senza che nessun nuovo processo sia introdotto, per incidere definitivamente sull’arretrato. Con tutta evidenza questo non è possibile, e i previsti incrementi di produttività, importanti ed essenziali non sono risolutivi. È necessario un incremento del numero dei giudici, che potrebbe essere anche solo temporaneo se raccordato alle prevedibili cessazioni dal servizio nell’arco di un quinquennio. Comunque dovrebbe essere immediata, anche con procedure straordinarie, la copertura dei posti vacanti, che è attorno al 10 per cento degli organici.

È bene anche non illudersi che riforme del processo, l’abbreviazione di termini e la introduzione di nuove preclusioni, che si scaricano sulla difesa e sugli avvocati, abbiano l’effetto di ridurre la durata dei processi, resa eccessiva dai tempi morti dei rinvii dovuti al carico di lavoro dei singoli magistrati.


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