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Francesco Paolo Figliuolo

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“TANTO tuonò che piovve’’. Sic transit gloria mundi. Mario Draghi colpisce ancora. Dopo l’esonero anticipato di Angelo Borrelli dalla Protezione civile e la sua sostituzione con Fabrizio Curcio, un funzionario che ha lavorato con Guido Bertolaso, è arrivato un vero e proprio colpo di scena: il benservito a Domenico Arcuri, il manager di Invitalia a cui Giuseppe Conte aveva attribuito – oltre ad altri dossier cruciali come l’affaire ex Ilva – il ruolo di supercommissario nel contrasto della pandemia, attribuendogli un ventaglio di poteri che ne avevano fatto una figura di grande potere.

Al posto di Arcuri – come dice il proverbio: la scopa nuova spazza meglio della vecchia – il governo ha nominato un Generale in servizio attivo, Francesco Paolo Figliuolo dotato di un curriculum di prestigio ed esperienza in posizioni di comando in veri e propri scenari di guerra. Probabilmente Arcuri si aspettava l’esonero, anche se – immaginiamo – avrebbe preferito di arrivare alla scadenza del mandato. Dopo la nomina del nuovo governo, il commissario uscente aveva assunto un profilo defilato, marinato le consuete conferenze stampa, adottata la linea del ‘’silenzio è d’oro’’. Ma anche per Arcuri è meglio così (sempreché non gli addebitino la spesa delle sedie con tavolo e ruote delle quali nessuno ha capito l’utilità) .

Non avrebbe avuto senso, per l’ex commissario, restare più a lungo – in tempi in cui è decisiva pure una settimana – in una posizione così delicata quando è visibile il venir meno della fiducia del nuovo governo. Certo, cambiare il pilota in corsa è un’impresa che può creare dei problemi al buon funzionamento della macchina. Draghi lo sa; le sue decisioni pertanto rispondono ad esigenze che il premier giudica serie, tanto da assumersene la responsabilità in prima persona.

Perché è evidente la sua intenzione di occuparsi direttamente della lotta alla pandemia. Lo abbiamo visto la settimana scorsa in occasione del vertice europeo, quando Draghi si è proposto come nuovo primus inter pares (magari in collaborazione con Macron) quando Angela Merkel passerà la mano. Il premier ha chiesto un cambio di passo nella gestione della pandemia attraverso una accelerazione sui vaccini per “rallentare” la corsa delle mutazioni del virus con una azione “coordinata” a livello europeo, “rapida e trasparente’’.

A dimostrazione di come si sta in Europa e si difendono gli interessi nazionali, anche senza essere sovranisti, Draghi ha redarguito la Commissione europea col fare di un maestro nei confronti dei discepoli che non sono stati in grado di pronunciare il loro ’’whatever it takes’’ a proposito del vaccino e della vaccinazione. Sul piano interno già nel discorso sulla fiducia il presidente del Consiglio aveva annunciato che senza una messa in sicurezza in campo sanitario anche il suo governo – come il precedente – sarebbe stato condannato a ordinare chiusure e ad erogare ristori (che d’ora in poi non si chiameranno più così), rinviando a data da destinarsi le riforme. Ed è proprio questo il pericolo che corre il governo pur se alla guida vi è un calibro da novanta come l’ex presidente della BCE.

Le prime misure adottate dall’esecutivo hanno ben poco di nuovo: alla scadenza dell’ultimo Dpcm di Conte, vi sarà un altro Dpcm che gestirà più o meno allo stesso modo le chiusure e le prescrizioni a cui dovranno attenersi i cittadini. Intanto la stagione turistica invernale è andata a farsi benedire. Mentre tante attività economiche continuano a non lavorare per legge. Certamente, stanziare sovvenzioni più e con maggiore sollecitudine è importante per la tenuta sociale di un Paese sull’orlo di una crisi di nervi, ma non in grado di uscire dalla logica del primum vivere. Auguriamoci che i cambiamenti introdotti nella linea di comando consentano di accelerare l’operazione vaccini.

È una corsa contro il tempo. Ha visto giusto Draghi. Nelle sue dichiarazioni durante il vertice europeo emerge chiaramente il pericolo che il premier intravvede e cioè che le mutazioni del virus rendano obsoleti i vaccini fino ad ora disponibili sia pure con molte più difficoltà di quelle immaginate. Questa preoccupazione è la stessa che ha spinto Draghi a prendere di petto i Big Pharma perché rispettino non solo il numero, ma pure i tempi delle forniture. Sono cose che non si dicono per non creare allarmi e per non frustrare le speranze di chi attende di essere vaccinato per sentirsi al sicuro. Ma il dubbio rimane perché ad instillarlo sono proprio i virologi quando assicurano – magari con molto ottimismo della volontà – che i vaccini sono in grado di fronteggiare la variante inglese, ma non si pronunciano sulle altre.

Fino a che punto, allora, i prodotti disponibili faranno effetto anche su altre varianti del covid malefico? E se fosse questo il dubbio che si pongono i Big Pharma: preparare, a marce forzate e in grande quantità, vaccini che ben presto si rivelino inefficaci; e prima o poi restino inutilizzati nei magazzini?


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