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Giuseppe Conte a Genova per l'ultimo varo del nuovo Ponte Morandi

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I Benetton sono pronti a rinunciare al controllo di Autostrade e il titolo di Atlantia, cui il concessionario fa capo, guadagna il 2,13% recuperando, seppur molto parzialmente il crollo superiore all’8% del giorno prima. Per trovare una soluzione il tempo a disposizione è ormai poco. «O arriva una proposta a cui il governo non può dire di no, perché estremamente vantaggiosa per il pubblico, visto che non possiamo più regalare soldi a nessuno, men che meno ai privati, oppure andiamo verso la revoca» dice il presidente Conte a Venezia per inaugurare il Mose.

La partita è arrivata ben oltre il novantesimo minuto ed è concreta la possibilità che il governo, pressato dai 5 stelle, fischi la fine della partita. Dopo quasi due anni dal crollo del ponte Morandi a Genova, questa volta si decide davvero. Probabilmente nel corso del consiglio dei ministri che si terrà martedì. E per questo la carta della discesa della dinastia trevigiana sotto il 50% di Autostrade va messa sul tavolo subito. Non a caso già da ieri sera la voce del passo indietro ha cominciato a girare con una certa insistenza anche se non mancano gli ostacoli e le perplessità. A cominciare dalla valutazione di Aspi.

I Benetton hanno posto come condizione che l’ingresso in maggioranza dello Stato attraverso Cdp ed F2i debba avvenire attraverso un aumento di capitale. Ma di quale ammontare? Gli analisti di Equita sostengono che Aspi vale circa 5,5 miliardi. Il prezzo è uno dei nodi cruciali della partita. Gli uomini di Atlantia vorrebbero valorizzare in modo pieno la controllata il cui 12% è stato venduto nel 2017 ad Allianz, Edf e Silk Road sulla base di una valutazione di 15 miliardi.

Il governo, ovviamente, punta a minimizzare i costi con cui subentrare ai Benetton alla guida della società. Ma questo non è nemmeno l’unico aspetto controverso. Passare dal controllo a una quota di minoranza ha un evidente impatto sulla trattativa e sulle discussioni che stanno spaccando il governo e soprattutto i Cinquestelle. Dentro il Movimento ci sono due fazioni contrapposte. Gli oltranzisti che dicono revoca e basta, come Alessandro Di Battista cui ora si è aggiunto Stefano Fassina esponente di Leu. Dall’altra parte quanti sono disposti ad accettare la discesa dell’attuale proprietà a patto però che vadano almeno al 30 per cento. E qui subentra un altro problema, quello della quota che alla fine avrà in mano Atlantia. I Benetton stanno ancora valutando fino a che punto scendere. Il cerchio, quantomeno per la parte più “morbida” dei 5 stelle, non si chiuderebbe se decidessero di restare intorno al 49% o comunque sopra il 30 per cento. Il vice ministro Stefano Buffagni sposa la linea dell’intransigenza: “i Benetton devono uscire dalla gestione delle nostre autostrade”. “Se qualcuno poi ha altre idee, siamo disponibili anche a lasciar perdere tutto e andare via, gli lasciamo il paese”.

C’è un’ultima carta per non uscire definitivamente di scena che la dinastia trevigiana ha messo sul tavolo. Si tratta di un maxi-piano da tre miliardi così suddivisi: 1,5 miliardi per il calo delle tariffe e ulteriori investimenti, 700 milioni per ulteriori manutenzioni e 800 milioni per Genova. Oltre all’impegno, per ora congelato, a investire 14,5 miliardi fino al 2038 e di stanziare 7 miliardi per la manutenzione ordinaria. Il Pd sarebbe pronto a trattare. Secondo alcune fonti, ciò che il governo chiede ad Autostrade è di formulare una proposta sulle tariffe, sulle sanzioni in caso di inadempimento sulle manutenzioni e i controlli. Si attendono proposte anche sul fronte delle risorse compensative. Il nodo delle tariffe, in particolare, è presente da molto tempo, tanto che, di recente, il Corriere della Sera aveva riportato che, tra i desiderata del governo, c’era “un taglio delle tariffe del 5% per 5 anni o per tutta la concessione”. I grillini, però resistono (“La revoca l’unica via” sostiene il vice ministro Cancellieri) mentre il Pd si mostra più possibilista La complessità della partita è tutta qui.


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