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Sono sicuro che il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e il ministro dell’Economia e delle Finanze Gualtieri leggono il Corriere della Sera e sicuramente saranno rimasti quanto meno sconcertati leggendo l’articolo di Enzo Moavero Milanesi dal titolo “Quante insidie nel percorso per ottenere i fondi della Unione Europea” apparso sull’edizione del 6 agosto.

LE PREOCCUPAZIONI

Le considerazioni di Moavero sono davvero preoccupanti e ciò che preoccupa di più è che sono considerazioni più volte da me riportate in miei precedenti blog (l’ultimo pubblicato il 4 agosto dal titolo “Sta finendo la luna di miele”) e quindi sicuramente poco difendibili, mentre queste sono denunce avanzate da una personalità che è stata ministro tre volte con i governi Monti, Letta e Conte I e che ha ricoperto per diversi anni una carica all’interno dell’Unione europea davvero strategica: è stato direttore generale del Bureau of European Policy Advisor. Cioè le sue denunce, le sue preoccupazioni non possono assolutamente essere sottovalutate e ritenute puro terrorismo mediatico. Moavero solleva quattro punti critici che, a mio avviso, azzerano quell’ottimismo profuso in più occasioni dall’attuale governo e, soprattutto, precisano un particolare che forse non è stato abbastanza capito dalla maggior parte degli addetti ai lavori. Cerco di essere più chiaro: durante i giorni della difficile trattativa a Bruxelles la delegazione italiana, e in particolare il presidente Conte, hanno ribadito in più occasioni che l’obiettivo fondamentale del nostro Paese, o meglio, la condizione di base di fronte alla quale non avremmo mai ceduto era l’approvazione all’unanimità da parte dell’Unione europea delle proposte presenti nel Recovery Plan dei singoli Stati.

Ebbene, questa dell’unanimità sull’approvazione delle nostre proposte e delle nostre riforme, coerenti ai vincoli già definiti dall’Unione europea è solo una “leggenda metropolitana”. Il non ricorso all’unanimità riguarda le grandi decisioni, riguarda gli impegni di ogni singolo Stato nel condividere il bilancio comunitario, nell’approvare l’articolazione delle quote a fondo perduto e non, ma sulle proposte dei singoli Stati inserite nei rispettivi Recovery Plan si esprime una Commissione dell’Unione europea e al suo interno non c’è spazio per la discrezionalità, perché i parametri ed i vincoli di base sono strettamente tecnici, sono strettamente obbligati.

LE 4 CRITICITÀ

L’ex ministro Moavero, infatti, elenca, come detto prima, quattro criticità che caratterizzano il percorso tecnico che porta alla approvazione delle proposte. La prima è la sommatoria di raccomandazioni che l’Unione europa ci chiede da anni e cioè: una Amministrazione pubblica efficiente, processi giudiziari rapidi, riduzione della spesa pubblica, fiscalità equa, contrasto al lavoro sommerso e corruzione, ecc. La seconda è il capillare controllo delle proposte, e a tale proposito Moavero ricorda che questa verifica si traduce in un insidioso “controllo fra pari”, gli Stati che sono anche in concorrenza nell’aspirare alle sovvenzioni. E questo controllo continua nel tempo attraverso una sistematica verifica di ottemperanza delle raccomandazioni e delle prescrizioni poste nella fase di approvazione e la mancata osservazione di tali vincoli, soprattutto quelli legati al rispetto dei tempi, si trasforma nel blocco degli stanziamenti.

E in questo difficile filtro il punto più critico è proprio il rispetto dei tempi: sette anni per gli investimenti e quattro per le riforme. La terza è legata alla possibile disillusione generata dal mancato raggiungimento dei risultati ritenuti ormai alla portata di mano: mancarli adesso, precisa Moavero, che si è creata tanta aspettativa sarebbe esiziale per le conseguenze economiche e il morale della Nazione. La quarta è legata alla copertura dei fondi comunitari: questi si finanziano emettendo titoli di debito garantiti e rimborsati dal bilancio dell’Unione europea, attraverso due alternative: nuove entrate o i consueti versamenti degli Stati in base al loro reddito lordo. Le prime sarebbero tasse in più ancora da definire: qualora non ci fossero le nuove entrate si stima, precisa sempre Moavero, che il metodo tradizionale costerebbe all’Italia, in quanto terzo contribuente del bilancio comunitario, quasi la metà dell’intero beneficio atteso attraverso i sussidi a fondo perduto (46 miliardi anziché gli 80 miliardi).

LE OPERE

Di fronte a queste chiare analisi fatte, ripeto fino alla noia, non da me ma da una persona che oltre alle cariche istituzionali ha avuto una esperienza significativa all’interno dell’Unione europea, penso sia utile e indispensabile effettuare un confronto tra ciò che, in termini di infrastrutture, sia possibile proporre per il centro nord del Paese e ciò che invece è possibile presentare per l’intera area meridionale.

Facendo una prima cernita delle opere che allo stato dispongono almeno di un progetto definitivo, e quindi già supportate da tutte quelle analisi costi-benefici e dai vari cronoprogrammi richiesti dall’Unione europea, penso che le uniche opere che potranno accedere ad un simile esame, a un simile filtro comunitario, siano davvero poche. Esclusi gli interventi manutentivi delle reti stradali e ferroviarie, ma di cui allo stato si dispone solo di previsioni di costo, per opere di rilevanza strategica ricordo solo le seguenti: * Completamento dell’asse AV/AC Napoli – Bari. * Completamento dell’asse viario Agrigento-Caltanissetta. * Asse stradale Caianello-Benevento (Telesina). * Asse viario Maglie-Santa Maria di Leuca. * Il Ponte sullo Stretto.

Solo per questi interventi penso sia possibile portare avanti un’adeguata motivazione, per le altre opere come l’asse ferroviario AV/AC Palermo-Messina- Catania, come l’asse ferroviario Taranto-Metaponto-Napoli, come l’asse ferroviario AV/AC Salerno-Reggio Calabria, per ora ci sono solo intuizioni progettuali, solo progetti di fattibilità, solo desideri.

BASTA ANNUNCI

Questo stato dell’arte diventa ancora una volta una condanna per il Mezzogiorno, e allora prepariamoci subito a chiedere una deroga per le proposte progettuali del Sud in modo da non compromettere, in modo irreversibile, le possibilità di accesso alle risorse del Recovery Fund. Se non otteniamo una simile deroga il massimo che può ottenere il Mezzogiorno, almeno per il comparto delle infrastrutture, non supera i 5 miliardi di euro. Questo importo non contempla il Ponte sullo Stretto perché è in corso una masturbazione mentale diffusa, soprattutto in Sicilia, sulle possibili alternative. Di fronte a questa analisi e a questi approfondimenti dell’ex ministro Moavero, penso sia corretto evitare annunci sulle percentuali delle risorse che arriveranno al Sud dal Recovery Fund perché i meridionali non amano essere presi in giro in modo sistematico.


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