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QUANDO finirà questa emergenza, quanto potrà durare questa emergenza. È un interrogativo che ci facciamo tutti perché siamo convinti che è impensabile immaginare che il blocco dei licenziamenti possa durare in eterno, non possiamo credere che la “cassa integrazione” possa durare all’infinito, non possiamo immaginare un Paese che, giorno dopo giorno, mese dopo mese, si avvii verso una forma di povertà irreversibile. Ed allora ci chiediamo come mai questi banali interrogativi, queste misurabili contestazioni non trovino, finora, segnali coerenti da parte di chi attualmente è al governo del Paese. Nascono, quindi, automaticamente alcune considerazioni:

La prima considerazione: questa grave sensazione, questa continua preoccupazione di una emergenza infinita è ancora più grave e più rischiosa in chi una simile emergenza la vive da sempre; mi riferisco al Mezzogiorno d’Italia in cui non è solo il reddito pro capite l’indicatore che ci spaventa quanto il tasso di disoccupazione, in particolare quello giovanile, sempre più vicino al 40% e tale valore è quasi costante da oltre trenta anni. In realtà nel Mezzogiorno siamo ormai in piena “depressione” e, cosa grave, dalla “depressione” non si esce solo iniettando risorse.

La seconda considerazione: la mancata ammissione dei fallimenti legati a scelte sbagliate da parte dei Governi che si sono succeduti nell’ultimo quinquennio ed in modo particolare nell’ultimo biennio, mi riferisco in particolare al “reddito di cittadinanza, al quota 100, agli 80 euro di renziana memoria, al mancato cambiamento del Codice Appalti, al blocco per sei anni di interventi nel comparto delle infrastrutture. Non solo non si è ammessa questa sommatoria di fallimenti ma, addirittura, si è preferito continuare a sopravvivere ritenendo opportuno solo aumentare il consenso descrivendo un futuro prossimo positivo, ricorrendo in modo sistematico alla logica basata sugli annunci e sui rinvii programmatici. Forse questa indolenza, questa patologica ed anomala forma di governo sarebbe durata per molto tempo, addirittura sarebbe diventata una abitudine strutturale, se non fosse esplosa questa emergenza legata alla pandemia.

La terza considerazione: non volere capire che esiste un comparto, quello delle costruzioni, che fino a sei anni fa partecipava alla formazione del Prodotto Interno Lordo per circa il 15% (oggi tale incidenza non supera il 5%) e, la cosa più grave, è che tale comparto possiede una particolare caratteristica: è un vero “motore” per la crescita; in realtà è l’unico vettore diretto tra risorse dello Stato immesse nel mercato e nell’indotto e l’intero assetto socio economico del Paese. Cerco di essere più chiaro: il pagamento di uno Stato di Avanzamento Lavori, cioè di ciò che chiamiamo SAL, diventa automaticamente una tessera di quel mosaico di fattori che incrementa la crescita. Ed allora questo immediato processo perché lo abbiamo ignorato e, cosa ancor più grave, lo stiamo continuando ad ignorare in questa fase critica. Sicuramente la incentivazione attivata con il “super bonus per la ristrutturazione degli edifici” è un segnale interessante per il comparto delle costruzioni ma non può essere assolutamente un intervento risolutore e ciò per due motivi: ha una dimensione non rilevante, ha una durata limitata. Il vero incentivo, il vero propulsore è quello legato all’avvio delle grandi opere.

Il Governo deve mettere subito nel comparto delle grandi opere almeno un volano di risorse pari a circa 20 miliardi di euro all’anno e questa cadenza della spesa deve durare almeno per dieci anni; per le cose che dirò dopo questa azione strategica la può fare, anzi la deve fare. Senza dubbio questo comporta un cambiamento comportamentale immediato: si dia mandato alle grandi stazioni appaltanti di affidare nei prossimi 180 giorni il quadro di interventi programmati, molti già approvati, e quindi pronti per essere avviati a realizzazione. Siamo in grado quindi di dare avvio entro tre mesi ad un volano di investimenti nel comparto infrastrutturale di circa 13 miliardi di euro con un coinvolgimento di oltre 14.000 unità lavorative. Ed entro sei mesi potremmo attivare ulteriori 8,9 miliardi di euro e circa 13.500 unità lavorative. Mentre entro e non oltre un anno attivare un processo di investimenti di ulteriori 51.680 milioni di euro e altri 59.850 unità lavorative. Può prendere corpo una azione corposa nel comparto delle infrastrutture trasportistiche di circa 73 miliardi di euro e di circa 88.000 unità lavorative dirette.

Di tale quadro di risorse il Mezzogiorno potrebbe utilizzare circa 28 miliardi, cioè una soglia pari al 40%. Poi l’anno prossimo avremo il quadro programmatico del Recovery Plan, poi alla fine dell’anno prossimo cominceranno ad arrivare le risorse del Recovery Fund; ora, però, non possiamo più continuare a inseguire inutilmente il tempo, senza fare nulla. Lancio un allarme: non dare subito attuazione ad una simile linea strategica significa accettare di continuare a vivere nella emergenza, cioè significa aver deciso di non vivere.


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