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Conte all'ultimo consiglio Europeo

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A maggio e giugno la Commissione Colao ha lavorato duramente per fornire al governo un piano strategico, articolato in ben 102 schede, accompagnate da un dettagliato rapporto di una cinquantina di pagine: “Iniziative per il rilancio, Italia 2020-2022”. 

A giugno il presidente del Consiglio ha annunciato e istituito una nuova super-commissione: gli Stati generali, convocati a Villa Pamphilj per meglio interloquire con sindacati e associazioni sulle misure per il rilancio.  E così, il 13 giugno, sono partiti anche gli Stati generali, conclusi dopo due settimane. Una grande kermesse piena di dibattiti accesi con il coinvolgimento dei massimi responsabili del tessuto socio economico del Paese. Alla fine di tale esperienza è stato prodotto un documento carico di consigli, di analisi e di prospettazioni.

EUFORIA E DOCCIA FREDDA

Alla fine del mese di luglio, dopo cinque giorni e quattro notti di negoziato, i 27 leader degli Stati membri della Unione europea hanno trovato un  accordo sul bilancio dell’Unione 2021-2027 e sul fondo per alimentare la ripresa economica. Il secondo Consiglio europeo più lungo della storia, un Consiglio che ha approvato un Recovery Fund da 750 miliardi di euro, con quasi 400 di trasferimenti a fondo perduto.

L’Italia è uscita vincente da tale negoziato in quanto è diventata il più grande beneficiario tra gli Stati dell’Unione europea: la sua quota, infatti, è stata di 208,8 miliardi di euro in tutto, di cui 81,4 tramite sussidi a fondo perduto e 127,4 di prestiti.

Il presidente Conte, il 22 luglio, ha comunicato ufficialmente che eravamo «riusciti, grazie alla mirabile gestione della nostra delegazione, a ottenere un importo così rilevante dalla Unione europea e che entro settembre avremmo presentato alla Commissione europea il nostro Recovery Plan per ottenere così, entro l’autunno, i primi 20 miliardi di euro».

  • Nei primi giorni di settembre, però, è venuto in Italia il Commissario Gentiloni che, in un’audizione alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, ha precisato:
  • L’opportunità che ci offre l’Unione europea va giocata bene anche se ci troviamo in un contesto caratterizzato da grande incertezza;
  • La prima possibile tranche del 10% la potremo avere non entro il 2020, ma forse entro la fine del 2021;
  • Se vogliamo raccogliere sui mercati finanziari i fondi europei che supportano il Recovery Fund è necessario che il Parlamento europeo condivida il Next generation Eu;
  • Il Piano non può essere un catalogo delle spese;
  • Le risorse del Recovery Fund non possono essere utilizzate per ridurre le tasse.

LE DIMENTICANZE

Queste sintetiche ma esaustive dichiarazioni hanno sicuramente prodotto uno sconcerto sia nel presidente Conte che in alcuni ministri dell’attuale compagine di governo.

Ho voluto sintetizzare al massimo la kafkiana storia di ciò che ormai possiamo definire non il Recovery Plan ma il Recovery Tale. In fondo questa continua e sistematica comunicazione, non rispondendo assolutamente alla realtà, ci preoccupa soprattutto perché testimonia una grande incapacità di chi è preposto al governo del Paese.
Proprio ieri il governo ha trasmesso al Parlamento le “Linee guida per la definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza” dimenticando due cose:

  1. L’opportunità di verificare i comportamenti e le logiche seguite dagli altri Paesi dell’Unione europea. Solo a titolo di esempio sarebbe stato utile prendere visione della proposta francese davvero organica e incisiva;
  2. L’opportunità di leggere prima quanto era stato prodotto dalla Corte dei conti europea per il Parlamento europeo sulle procedure e sulle modalità di accesso al Fondo.

Ma, addirittura, il governo non si è accorto di aver posto dei filtri così pesanti nella selezione dei progetti che, come nel caso delle infrastrutture per la mobilità, vengono automaticamente escluse quasi tutte le opere del Mezzogiorno del Paese.

Tutte queste considerazioni, tutti questi dettagliati passaggi cronologici sono solo una testimonianza non di errori comportamentali, ma dell’assenza di ciò che, proprio in questo momento, il Paese dovrebbe possedere e cioè: un quadro strategico chiaro e misurabile.

I REQUISITI NECESSARI

In realtà, finora ci avevano abituato a proclami mediatici così creativi che non ci eravamo accorti che fra un mese il Governo dovrà approvare il disegno di legge di Stabilità per il 2021. Cioè dovrà decidere quali risorse inserire intanto nell’annualità 2021 e quali risorse programmare per il 2022 e il 2023.

Le assicurazioni del presidente Conte e del ministro dell’Economia e delle Finanze Gualtieri su un utilizzo di 20 miliardi del Recovery Fund già a partire dal 2021 purtroppo non sono difendibili e, nel rispetto delle logiche di bilancio, non possono neppure essere inserite quelle che si “pensa e si spera” arriveranno nel 2022 e 2023. E questo mio convincimento è supportato anche dal fatto che, come detto prima, ancora il Parlamento europeo non ha approvato quanto deciso dai presidenti dei Paesi dell’Unione europea il 21 luglio scorso, e quindi non è possibile ancora raccogliere sui mercati finanziari i fondi europei che dovrebbero supportare il Recovery Fund.

Sull’approvazione del Parlamento il presidente Sassoli ha fatto capire in modo chiaro che ci sono almeno due requisiti da rispettare per ottenere l’approvazione dell’Aula: il bilancio dell’Unione dovrà avere nuove risorse proprie, gli Stati non dovranno più godere degli sconti.

Allora chiediamo al governo, una volta per tutte, di non raccontare ancora, almeno per quanto concerne le infrastrutture legate alla mobilità, che ci sono bazooka di disponibilità finanziarie, perché attualmente le uniche risorse che possono essere garantite nel 2021 non superano i 3,4 miliardi di euro (per evitare equivoci riporto la cifra in lettere: tre miliardi e quattrocento milioni).

L’ASSENZA DI COPERTURE

La mia sembra una notizia bomba perché è impensabile che per quattro- cinque mesi il governo sia stato capace di drogarci regalandoci cifre, assicurazioni e disponibilità che nei fatti ancora non ci sono e, soprattutto, continui da mesi a parlare di Commissari, di super Commissari, di Commissioni speciali senza però avere il coraggio di raccontarci quanto sia difficile superare davvero la prossima scadenza del 15 ottobre.

Di fronte all’assenza di coperture il governo necessariamente farà ricorso al Meccanismo europeo di stabilità (Mes) e così il Movimento 5 Stelle arricchirà ulteriormente il proprio album di schizofrenie: no Tav, sì Tav, no Tap, sì Tap, no Ilva, sì Ilva, no ponte, sì ponte, e ora no Mes, sì Mes.

Non temo una possibile crisi del governo; quello che invece temo è la crisi irreversibile del comparto delle costruzioni e del Paese.


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