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Il ministro Vittorio Colao

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Riporto integralmente una parte di un articolo comparso su “Affari & Finanza” di lunedì 29 marzo dal titolo “Strade, gas, energia: reti impoverite”. In particolare nell’articolo si dice: “Nella graduatoria sulla competitività di 63 Paesi stilata dall’International Institute for Management Development, una delle più importanti business school del mondo, l’Italia da un paio d’anni non riesce a schiodarsi dalla 44esima posizione. Più in basso, per dire, di India, Kazakhstan, Lettonia, Indonesia, Polonia. E nel giro dell’ultimo ventennio, cioè da quando con l’avvento dell’euro abbiamo perso l’arma competitiva della svalutazione della moneta nazionale, il nostro Paese è sceso di 14 gradini in quella graduatoria costruita misurando un centinaio di variabili. Tra queste a pesare come una insormontabile forza di gravità sulle spalle del Belpaese sono soprattutto le infrastrutture di base (ferrovie, strade, TLC, rete idrica, energia) che ci vedono addirittura in 53esima posizione”.

Sempre sulla base di questa grave analisi la Facoltà di Ingegneria della Sapienza di Roma, utilizzando il lavoro degli Stati Generali, coordinato nell’estate del 2020 dall’attuale Ministro Colao, ha raccolto, riclassificato ed elaborato i piani industriali e i bilanci consolidati dell’ultimo decennio dei principali gruppi (pubblici e privati che gestiscono le infrastrutture: Atlantia per le autostrade, Telecom-TIM e Vodafone per le Telecomunicazioni, Acea per il ciclo integrale delle acque, Terna per la trasmissione elettrica, RFI per la rete ferroviari, SNAM per il gas) ed è emerso un dato sconcertante: “le grandi società infrastrutturali italiane hanno utili molto elevati ma li distribuiscono per molto più della metà; in realtà negli ultimi dieci anni hanno distribuito dividendi per 30 miliardi. Tutte risorse, si precisa nella ricerca, sottratte agli investimenti.

Per questa scelta le infrastrutture autostradali e telefoniche hanno una anzianità pari rispettivamente al 75 e all’81% della vita utile e altre tre (elettrica, ferroviaria, gas) pari ad un valore che oscilla tra il 34 e il 43%. In particolare l’investimento tecnico medio annuo nel caso delle autostrade, rete elettrica e gas varia tra 1 e 1,4 miliardi mentre per la rete ferroviaria poco meno di 5 miliardi. Ritengo utile fare una precisazione: i dividendi del Gruppo delle Ferrovie dello Stato ritornano allo Stato quindi il responsabile del mancato utilizzo delle risorse per investimenti nel comparto ferroviario è solo lo Stato e questa corretta analisi testimonia ancora una volta quanto sia stato assente il Governo in questi anni nel processo di infrastrutturazione organica del Paese.

Forse però l’elemento più utile dell’intera ricerca è la conferma, ancora una volta, di quanto in più occasioni denunciato attraverso i mei blog, attraverso i miei articoli: il danno causato alla economia italiana dall’assenza di una offerta infrastrutturale adeguata vale annualmente circa 60 miliardi di euro e questo dazio imposto dal 2015 in poi (cioè dalla gestione di Governi che hanno preferito utilizzare le risorse in conto esercizio e non in conto capitale per poter garantire gli “80 euro” per i redditi minimi, il reddito di cittadinanza ed il “quota 100”) ha praticamente prodotto questo, ormai misurabile e riconosciuto da tutti, crollo del nostro sistema infrastrutturale. Non è il momento per fare bilanci o per denunciare ancora una volta una simile assurda scelta, non è il momento perché non possiamo perdere tempo in quanto questa stasi si è prolungata per un lungo arco temporale e rischia di diventare irreversibile, rischia cioè di non trovare più azioni capaci di recuperare livelli funzionali e assetti gestionali coerenti e comparabili con quelli posseduti da altri Paesi della Unione Europea e dell’intero Pianeta.

Lo ha detto apertamente il Presidente Draghi nel suo primo discorso alle Camere: il fattore tempo è uno dei riferimenti chiave che deve caratterizzare l’intera azione del Governo. Dobbiamo quindi utilizzare la fase in cui redigeremo il Recovery Plan, e quindi questi giorni, per evitare di programmare solo alcune parti, alcune componenti di una ben definita linea strategica; dobbiamo in realtà avere il coraggio di affrontare contestualmente tutte le possibili aree programmatiche, tutte le criticità che, proprio negli ultimi sei anni, sono esplose e hanno fatto crollare sempre più i livelli di eccellenza posseduti dal nostro Paese. Un lavoro non facile soprattutto se si considera il limitato arco temporale disponibile: 30 giorni e se si tiene conto che questa volta l’esaminatore, cioè la Unione Europea, sarà più esigente del solito. Voglio però ricordare che il Piano per la ricostruzione a valle della Seconda guerra mondiale fu prodotto in soli 20 giorni e fu esaminato dalla apposita Commissione mondiale preposta alla gestione delle risorse dell’ERP (Ente per la Ricostruzione Europea).

Ma, ripeto ancora una volta, ora non è il momento per fare denunce o per attaccare gli schieramenti che con un inimmaginabile camaleontismo hanno gestito in questi ultimi sei anni la cosa pubblica, tuttavia queste mie considerazioni sull’uso degli introiti delle Ferrovie dello Stato, da parte del suo unico azionista e cioè il Ministero dell’Economia e delle Finanze, secondo chi mi legge non si configurano come un possibile reato? Forse, addirittura, come una distrazione di fondi? Soprattutto, almeno, come un mancato investimento per quella parte del territorio dove, sempre negli ultimi sei anni, si è fatto a gara per assicurare il 34%, no il 40%, no il 45 %, no oltre il 50% delle risorse destinate per la infrastrutturazione del Paese; si per rendere efficiente la offerta infrastrutturale del Mezzogiorno; in sei anni solo percentuali.


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