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Pochi giorni fa il quotidiano La Repubblica ha dedicato ampio spazio ai timori della Unione Europea per i ritardi italiani nell’attuazione del Recovery Plan. In particolare i tecnici di Bruxelles sono allarmati da due nodi cruciali che si stringono intorno al nostro Paese.

Il primo riguarda l’architrave del Recovery Fund. L’Italia è l’unico Paese tra i 27 ad aver chiesto l’intero pacchetto di fondi: i “grants” (ossia le sovvenzioni a fondo perduto) e i “loans” (veri e propri prestiti). Nessuno degli altri 26 Paesi della Unione Europea lo ha fatto. Nessuno – ha precisato La Repubblica – ha chiesto al momento un solo euro di “loans”. Noi ne abbiamo chiesti oltre 100 miliardi; una somma questa che prima o poi andrà restituita.

Questo comporta una particolare attenzione da parte degli Uffici della Unione Europea. Ogni firma che autorizza un pagamento è verificata e riverificata. In realtà questa esigenza di chiedere l’intero pacchetto di fondi nasce dal fatto che il nostro Paese nella Legge 178/2020 (Legge di Stabilità 2021), non avendo altre risorse, ha dovuto fare ricorso integralmente alle risorse (promesse) dalla Unione Europea. Questa scelta proprio un anno fa fu da me messa in evidenza come una “posta anomala” in quanto ancora non disponibile. A tale proposito riporto di nuovo l’articolo 1 comma 1037 (vedi qui a fianco).

Il secondo nodo si allaccia alla concreta esecuzione del PNRR. Quanto prima il Governo Draghi chiederà la tranche di finanziamento. La Commissione non ha dubbi sul raggiungimento degli obiettivi previsti per questo semestre. E quindi non ha dubbi che tra gennaio e febbraio verranno stanziati i nuovi fondi. Il problema, semmai, può emergere nel primo semestre del 2022.

Gli impegni in Parlamento sono tanti; la road map prevede l’approvazione entro il mese di marzo di una parte consistente della riforma fiscale; a giugno poi c’è un imbuto: la presentazione della legge sulla concorrenza, la approvazione della legge delega sul pubblico impiego e della legge sulla prevenzione sanitaria e l’adozione del decreto sul dissesto idrogeologico. Tuttavia l’allarme più rilevante riguarda la messa a terra delle opere infrastrutturali; una preoccupazione particolare riguarda le opere di competenza degli Enti locali. E la cosa davvero preoccupante sta nel fatto che se le cosiddette “milestones” non dovessero essere raggiunte, le tranche successive andrebbero perse; questa, a detta degli stessi funzionari di Bruxelles, non sarebbe una sconfitta dell’Italia ma della intera Unione Europea; in fondo sarebbe una ammissione della validità delle critiche sollevate dai cosiddetti Paesi frugali quando si decise di dare questo rilevante trasferimento di risorse al nostro Paese.

La Presidenza del Consiglio è l’organismo senza dubbio più preoccupato e più attento all’avanzamento concreto delle riforme e delle opere ed ha, proprio nei primi giorni di novembre, chiesto a tutti i Dicasteri tre elementi:

• lo stato di avanzamento di riforme e progetti
• le impostazioni particolari da seguire sui progetti principali
• gli ostacoli e le criticità incontrate o da rimuovere su quelle riforme e su quei progetti

Forse, come fatto già da Rete Ferroviaria Italiana, in occasione del Contratto di Programma approvato dal Parlamento nel mese di luglio scorso, sarebbe stato bene predisporre, almeno per le opere infrastrutturali, un Piano B; Rete Ferroviaria Italiana ha infatti precisato nel Contratto che qualora non si riuscisse a rispettare, nell’attuazione di alcune opere, il calendario indicato nel Recovery Plan si provvederà a trasferire le risorse su altri ambiti strategici sempre ferroviari.

Questa giusta impostazione, specialmente per quanto concerne le opere di competenza di organismi locali come Regioni, Comuni o anche di Amministrazioni pubbliche come le Autorità di sistema portuale, deve, a mio avviso, essere assunta subito e penso sia opportuno anche raccontare quali siano le interazioni tra le opere inserite nel Recovery Plan e quelle nel Programma complementare e verificare, per tempo, con i funzionari della Unione Europea.

I dubbi sull’alta velocità ferroviaria Salerno-Reggio Calabria

A tale proposito faccio un particolare esempio: mi chiedo se la proposta relativa all’asse ferroviario ad alta velocità Salerno – Reggio Calabria possa essere condiviso in quanto coerente ai canoni della organicità funzionale richiesti dalla Unione Europea. Infatti nel PNRR sono disponibili solo 1,8 miliardi di euro e, come ho avuto modo di riportare in una mia nota di poche settimane fa, i circa 11 miliardi stanziati per la nuova linea (sia dal Recovery Plan, 1,8, che dal Programma complementare, circa 9 miliardi) serviranno a coprire due dei sette lotti (vedi tabella allegata Asse ferroviario AV Salerno – Reggio Calabria).

Per completare l’opera occorreranno, come si evince sempre dalla Tabella riportata alla fine, 22,8 miliardi. Inoltre i primi due lotti, è stato confermato dall’Amministratrice di Rete Ferroviaria Italiana, saranno disponibili solo fra nove anni. Questa proposta, ripeto, non è coerente alla richiesta clausola di organicità richiesta più volte dalla Unione Europea. Ma sono sicuro che, oltre ad essere una proposta monca in quanto non in grado di dare compiutezza funzionale all’asse infrastrutturale, difficilmente potrà essere ritenuta coerente alla scadenza temporale del 2026.

Il caso Calabria senza opere rilevanti nel Pnrr

In fondo ancora una volta la Regione Calabria rimane priva di opere infrastrutturale rilevanti del PNRR: niente lotti dell’alta velocità, niente lotti della 106 jonica. Penso che il nuovo Presidente della Regione Occhiuto non accetterà un simile impianto programmatico e denuncerà questa anomalia sia in Conferenza Stato Regioni che in sede comunitaria.


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