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Il governatore della Puglia, Michele Emiliano, e il premier Giuseppe Conte

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L’emergenza Coronavirus avrebbe dovuto spingere, almeno nel campo sanitario, ad un riequilibrio delle risorse, economiche e umane, tra le Regioni. Ed invece il Sud rischia di uscirne ancora più indebolito, mentre il divario con il Nord potrebbe lievitare.

Per far fronte alla pandemia, le Regioni stanno assumendo nuovo personale per rafforzare ospedali e dipartimenti di Prevenzione ma, anche questa volta, a fare la voce grossa è il Nord: da marzo ad oggi, l’Emilia Romagna (4,4 milioni di abitanti) ha contrattualizzato 5.395 persone, di cui 849 medici e 2.889 infermieri; il doppio rispetto alla Puglia (4,1 milioni di residenti), che non è andata oltre 2.691 nuovi innesti, di cui 530 medici e 1.123 infermieri. Persino la Campania (5,8 milioni di residenti), che avrebbe bisogno di camici bianchi come il pane, è riuscita ad assumere meno lavoratori: 3.204, di cui 722 medici e 1.618 infermieri.

Numeri che vanno ad acuire le differenze pre-pandemia: infatti, la Campania, prima del Covid, poteva contare soltanto su 42mila operatori sanitari; in l’Emilia Romagna i dipendenti erano già invece oltre 57mila; in Puglia appena 35mila. Dati che vengono evidenziati dalla Corte dei Conti nella “Memoria sul bilancio di previsione dello Stato”, ma cosa sta succedendo? Nulla di nuovo sotto il cielo, quello che accade anche in tempo di pace: le Regioni ricche del nord, avendo potuto godere per almeno 15 anni di maggiori trasferimenti statali, sono in grado di offrire contratti più vantaggiosi e alettanti.

La Regione Puglia, ad esempio, ha pubblicato centinaia di avvisi pubblici ma a rispondere sono stati in pochi, tanto che ora il governo Emiliano ha deciso di puntare al mercato estero. Non solo: in una circolare indirizzata ai manager delle sei Asl provinciali, il direttore del dipartimento regionale della Salute, Vito Montanaro, ha chiesto di assumere quanto più personale possibile, soprattutto infermieri, e di farlo il prima possibile, invitando le aziende sanitarie a “valutare il ricorso a contratti a tempo determinato di durata pari o superiore ai 24 mesi che consentano di reclutare quel personale che fino ad oggi non ha mostrato interesse per le selezioni per periodi temporali di breve durata”. Non più contratti di sei mesi, poco “invitanti” soprattutto in questo momento i cui i turni di lavoro sono massacranti e il rischio professionale molto più elevato. La Regione, pur di convincere gli operatori sanitari, è disposta ad offrire contratti, sì, a tempo determinato, ma di almeno due anni, se necessario anche oltre i 24 mesi.

Sembra essere l’unica strada per contrastare lo strapotere del Nord: dietro all’Emilia Romagna (5.395 assunti), infatti, si piazzano la Lombardia con 5.367 assunzioni e Toscana (4.016 nuovi dipendenti). La Calabria, con tutti i suoi problemi, è ferma ad appena 583 neo assunti, la Basilicata a 204. Anche la seconda ondata di contagi Covid è stata affrontata non ad armi pari, nonostante il punto di partenza fosse già impari: la Campania, infatti, che fa 5,8 milioni di residenti, a marzo poteva contare soltanto su 42mila operatori sanitari; in Emilia Romagna (4,4 milioni) i dipendenti pre-pandemia erano invece oltre 57mila, in Veneto (4,9 milioni) quasi 58mila, in Toscana (3,7 milioni) quasi 49mila, in Piemonte (4,3 milioni) 53mila, non parliamo della Lombardia dove si sfiorava già le 100mila unità. Se ci fosse bisogno ancora di una conferma delle due Italie prodotte da una iniqua ripartizione del fondo sanitario nazionale, ecco che la prova consegnata sempre dalla Corte dei Conti nel “Rapporto 2020 sul coordinamento della finanza pubblica”.

Far funzionare una terapia intensiva, un reparto di Malattie infettive, uno di pneumologia, per di più durante una pandemia, senza avere il personale numericamente adeguato è roba da acrobati. “Negli ultimi due anni – scrivono i giudici contabili – sono divenuti più evidenti gli effetti negativi di due fenomeni diversi che hanno inciso sulle dotazioni organiche del sistema di assistenza: il permanere per un lungo periodo di vincoli alla dinamica della spesa per personale e le carenze, specie in alcuni ambiti, di personale specialistico. Come messo in rilievo di recente, a seguito del blocco del turn-over nelle Regioni in piano di rientro e delle misure di contenimento delle assunzioni adottate anche in altre Regioni (con il vincolo alla spesa), negli ultimi dieci anni il personale a tempo indeterminato del Sistema sanitario nazionale è fortemente diminuito. Al 31 dicembre 2018 era inferiore a quello del 2012 per circa 25.000 lavoratori (circa 41.400 rispetto al 2008)”. Le Regioni in Piano di rientro sono quelle del Sud, che per anni, 10 la Puglia ad esempio, essendo sotto il controllo dei ministeri della Salute e dell’Economia non hanno potuto assumere.


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