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LA SFIDA lanciata dal ministro Renato Brunetta, 2.800 assunzioni nella Pubblica amministrazione del Sud in appena 100 giorni, ha fatto arrabbiare i sindaci del Veneto: secondo la loro tesi, gli organici al Mezzogiorno sono già sovradimensionati. Proviamo a ristabilire, dati alla mano, la realtà dei fatti: quella del ministro è un’operazione “benemerita”, lo dicono i report della Corte dei Conti e di Anci. In ogni settore, dalla sanità alla scuola agli uffici comunali, il Sud deve fare i conti con poco personale, meno rispetto a quello attivo al Nord.

Partiamo proprio dai Comuni: secondo una elaborazione Ifel-Fondazione Anci-Dipartimento Studi Economia Territoriale su dati ministero dell’Economia, negli uffici tecnici del Nord sono in servizio 174.693 dipendenti su 221.315 previsti dalle piante organiche, una copertura dell’82,7%. Al Sud, invece, i lavoratori sono 121.740 contro i 166.418 posti previsti nelle piante organiche, una copertura del 73,2%, quasi dieci punti in meno rispetto a quanto avviene nel Settentrione.

MENO MEDICI E INFERMIERI

Ma è nel comparto sanitario che le differenze diventano più macroscopiche se vogliamo. Al Nord, per ogni mille abitanti ci sono 12,1 dipendenti nel comparto sanità: medici e infermieri, ma anche tecnici di laboratorio, amministrativi, operatori socio sanitari. Al Sud la media si abbassa drasticamente, sino a 9,2 dipendenti ogni mille residenti. Se la Puglia avesse avuto le stesse risorse dell’Emilia Romagna e avesse, quindi, potuto mantenere lo stesso rapporto dipendenti/residenti, oggi avrebbe 16.662 medici, infermieri, amministrativi in più. In Puglia, infatti, dove si conta una popolazione di 4,1 milioni di abitanti, il personale sanitario a tempo indeterminato impegnato negli ospedali supera di poco le 35mila unità; in Emilia Romagna (4,4 milioni) i dipendenti sono invece oltre 57mila, in Veneto (4,9 milioni) quasi 58mila, in Toscana (3,7 milioni) sono quasi 49mila, in Piemonte (4,3 milioni) sono 53mila, non parliamo della Lombardia dove si sfiora le 100mila unità.

La Campania, che fa 5,8 milioni di residenti, può contare soltanto su 42mila operatori sanitari, persino il Lazio (5,8 milioni di abitanti) ha appena 41mila dipendenti a tempo indeterminato al lavoro nella sua sanità. Come si può chiedere alla Puglia, a quasi parità di popolazione, di riuscire a svolgere lo stesso numero di esami e visite mediche che si riescono a fare in Emilia Romagna che ha 22mila lavoratori in più?

La fotografia è immortalata dalla Corte dei Conti: “Negli ultimi due anni – scrivono i giudici contabili – sono divenuti più evidenti gli effetti negativi di due fenomeni diversi che hanno inciso sulle dotazioni organiche del sistema di assistenza: il permanere per un lungo periodo di vincoli alla dinamica della spesa per personale e le carenze, specie in alcuni ambiti, di personale specialistico. Come messo in rilievo di recente, a seguito del blocco del turn-over nelle Regioni in piano di rientro e delle misure di contenimento delle assunzioni adottate anche in altre Regioni (con il vincolo alla spesa), negli ultimi dieci anni il personale a tempo indeterminato del Sistema sanitario nazionale è fortemente diminuito. Al 31 dicembre 2018 era inferiore a quello del 2012 per circa 25.000 lavoratori (circa 41.400 rispetto al 2008)”.

Le Regioni in Piano di rientro sono quelle del Sud, che per anni, 10 la Puglia ad esempio, essendo sotto il controllo dei ministeri della Salute e dell’Economia non hanno potuto assumere.

L’EMORRAGIA DEGLI OSPEDALI DEL SUD

Non solo: dal 2012 al 2018 l’Italia ha “perso” oltre 42mila operatori sanitari, tra medici e infermieri e altre figure ospedaliere, e il record spetta ancora una volta ad una regione del Sud: è infatti la Campania ad aver dovuto fare a meno di 10.490 dipendenti sanitari, in pratica gli ospedali si sono svuotati di dipendenti. Colpa della spending review, ma soprattutto del blocco del turn over, che ha impedito di sostituire chi andava in pensione o si trasferiva altrove.

La Campania non è l’unica danneggiata, basti pensare che la Calabria di operatori sanitari ne ha persi 3.889, il piccolo Molise 1.027, la Puglia 2.229. Anche il Nord Italia ha visto una contrazione di dipendenti ospedalieri, ma ben più contenuta: per fare un rapporto, gli organici della Lombardia si sono ridotti di 2.888 lavoratori, un quinto rispetto alla Campania, meno della Calabria e poco più della Puglia. Non solo: la Lombardia, dal 2012 al 2018, non ha perso medici, anzi quelli sono aumentati: +290, mentre la Campania ha visto andar via 1.739 camici bianchi, la Puglia 374, il Molise 204.

Anche il Veneto ha conosciuto una riduzione degli organici di 1.924 operatori sanitari, ma i medici “persi” sono stati solamente 73. La Toscana, come la Lombardia, ha potenziato il numero di medici: +97. L’Emilia Romagna ha limitato i danni con -1.328 dipendenti e -102 medici. La Campania ha anche il record, poco invidiabile, di infermieri persi: -3.251.

CONFRONTO TRA REGIONI

Esaminando i dati delle singole regioni emerge ancor più chiaramente il divario: la Valle d’Aosta può contare, nel comparto sanità, su un rapporto di 17,5 dipendenti ogni mille abitanti, il Friuli Venezia Giulia di 16,2 lavoratori ogni mille abitanti, seguono Liguria (15,2), Toscana (13,7), Sardegna (13,5), Emilia Romagna (13), Piemonte (12,6), Umbria (12,6), Marche (12,5).

Per trovare la prima regione del Mezzogiorno bisogna scendere sino al 12° posto: lì c’è la Basilicata che, con un rapporto di 12,4 dipendenti ogni mille residenti, è l’unica del Sud sopra la media nazionale (10,8), davanti al Veneto (12,2). Le altre regioni del Mezzogiorno devono fare le nozze con i fichi secchi: il Molise ha un rapporto di 9,9 lavoratori per ogni mille abitanti, seguono Calabria (9,6), Puglia (8,9), Sicilia (8,8), Lazio (7,9) e infine Campania, con soli 7,8 dipendenti ogni mille abitanti.

MENO DIPENDENTI AL SUD IN TUTTI I SETTORI

E vale per la sanità come in altri settori. Prendiamo, ad esempio, il costo della macchina burocratica: sapete quanto spendono le Regioni per i “Servizi istituzionali, generali e di gestione”? E’ riportato nei singoli bilanci: la Lombardia 742 milioni, il Veneto 482 milioni, il Piemonte 911 milioni; conto i 256 milioni della Puglia e i 207 della Campania. Per le “risorse umane” la Lombardia investe 71 milioni, la Campania appena 23 milioni. E quanto spendono le Regioni del Nord in costo del personale? A scattare la fotografia è sempre la Corte dei Conti.

La magistratura contabile nella relazione sulle Autonomie relativa al triennio 2015-2017 non fa sconti a nessuno. Nel 2017, Le Regioni a statuto ordinario del Nord hanno registrato un costo per i dipendenti pari a 533 milioni di euro, con un incremento dell’8,99% (Emilia Romagna fa segnare un record, +20,09%, seguita da Piemonte, +11,02%). Il Centro spende meno (399 milioni) ma i costi sono in aumento: +11,6% nel 2017. Il Sud spende meno del Nord (520 milioni) ma, soprattutto, fa segnare una contrazione dei costi: -2,41%. Le Regioni del Nord superano il Mezzogiorno anche per quanto riguarda il numero di personale: 14.418 contro 13.861. Non solo: mentre al Nord dal 2015 al 2017 cresce il numero di dipendenti (+14,6%), al Sud diminuisce (- 2,56%).

LE PARTECIPATE

Dalle piante organiche degli apparati burocratici a quelli delle società partecipate il canovaccio non cambia: in tutta Italia sono 7.090 le società partecipate, di cui attive 5.766, e danno lavoro a 327.807 persone. Nei 962 organismi della Lombardia, ad esempio, sono impiegati 59.924 dipendenti, in Emilia Romagna, invece, 557 enti danno occupazione a 30.342 persone, in Veneto sono 29.296 gli impiegati; di contro, in Campania i dipendenti sono 16.805, in Puglia 10.199, in Calabria 4.391, in Basilicata 668, solo la Sicilia si avvicina ai numeri delle Regioni del Nord con 23.512 dipendenti.

MENO PROF AL SUD

Il Mezzogiorno ha anche meno insegnanti: nelle scuole del Nord ogni professore, mediamente, insegna a 10 studenti; al Sud, invece per ogni docente ci sono 13,5 alunni. Nel Mezzogiorno le scuole pubbliche sono 2.528, il personale docente è pari a 231.051: in sostanza, in ogni istituto scolastico, mediamente, sono impiegati 91 insegnanti. Al Nord, invece, le scuole sono 3.266 e i professori 356.100: risultato, in ogni istituto lavorano circa 109 docenti. Non solo: le classi sono più sovraffollate in Puglia, Campania e Calabria rispetto a Piemonte, Lombardia o Liguria. Infatti, mentre al Nord per 3.646.003 alunni iscritti ci sono 200.828 classi (poco più di 18 studenti per classe), al Sud per i 3.121.930 ragazzi ci sono 112.214 classi (il rapporto è di 27,8 alunni per classe).


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