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Sulla questione dell’accesso ai locali delle aziende di lavoratori non vaccinati il colpo di calore lo ha preso Maurizio Landini. Ormai a parlare è la giurisprudenza; certo, non si è ancora pronunciata la Suprema Corte di cassazione, ma le prime decisioni dei tribunali del lavoro vanno per ora nella medesima direzione: il datore di lavoro è legittimato a sospendere senza retribuzione i dipendenti che non si sono vaccinati.

Da ultimo, dopo quelli di Udine e Belluno, così ha stabilito il tribunale di Modena che, con ordinanza n° 2467 del 23 luglio 2021, ha riconosciuto la piena legittimità del provvedimento di sospensione dal lavoro senza retribuzione adottato da un datore di lavoro operante in una Rsa ove due addetti con mansioni sanitarie avevano rifiutato di vaccinarsi contro il Covid-19.

Nelle scorse settimane, a poche decine di km di distanza, a Bologna, in un campo estivo organizzato dall’Amministrazione comunale, un’educatrice non vaccinata ha contratto il Covid-19, contagiando la scolaresca che le era affidata. Ciò ha comportato la quarantena per tutte le famiglie interessate, con conseguenze immaginabili per la cooperativa appaltatrice, alle cui dipendenze lavorava l’educatrice, e per la stessa Amministrazione.

LE VALUTAZIONI DEI GIUDICI

Il settore è particolare, ma le motivazioni dell’ordinanza del tribunale di Modena affrontano, in termini generali, l’aspetto cruciale del contagio da Covid-19 «in occasione di lavoro»: un aspetto che non viene di solito considerato, per il rilievo che ha, nel dibattito per ragioni incomprensibili trattandosi – come vedremo – della normativa riguardante gli infortuni, la vera disciplina capostipite in materia di tutela previdenziale.

Il tribunale ha osservato che, ai sensi del D. l.vo n° 81/2008 (il codice sulla sicurezza del lavoro), l’imprenditore è garante della salute e della sicurezza sia degli altri dipendenti che dei terzi. Il rifiuto della vaccinazione, se pur non può dar adito, secondo il tribunale, a provvedimenti di natura disciplinare, può avere delle conseguenze sul piano della oggettività a svolgere determinate mansioni.

Di qui (art. 41) la valutazione del medico competente di inidoneità a svolgere, causa il pericolo pandemico, l’attività a stretto contatto con anziani e persone oltre modo fragili; di qui (art. 42) una prima valutazione del datore, a seguito della comunicazione del medico, circa la possibilità di utilizzare gli addetti sanitari in una posizione lavorativa non a contatto con altri dipendenti o terzi.

Verificata l’impossibilita, il tribunale ha ritenuto corretto il comportamento del datore che ha proceduto a sospendere i due dipendenti senza la corresponsione di alcuna retribuzione. Del resto, in casi come questo, non sarebbe possibile neppure l’intervento della cassa integrazione. Fin qui l’ordinanza, che opportunamente ha messo in evidenza il nodo cruciale di tutta la questione: l’equiparazione della contrazione del contagio in occasione di lavoro (ovvero anche in itinere) all’infortunio, con la conseguente applicazione della relativa disciplina, a partire da ciò che dispone l’articolo 2087 del codice civile: «L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».

NORMA AVANZATA DI TUTELA

Si tratta di una norma che si potrebbe definire “avanzata’’ nel campo della tutela della sicurezza dei lavoratori, tanto da suscitare stupore poiché il codice civile risale al 1942. L’articolo 2087 è una norma “di chiusura’’ in materia di infortuni sul lavoro, perché impone al datore di adottare tutte le soluzioni necessarie «secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».

Come è evidente, all’imprenditore non basta attenersi a ciò che stabilisce la legge: deve cercare le soluzioni suggerite dalla scienza e dalla tecnica prima ancora che il loro utilizzo sia disposto per legge. Per farla breve (come è scritto nell’ordinanza del tribunale di Modena) il responsabile della sicurezza del dipendente «in occasione di lavoro» è uno solo: l’imprenditore. E lo è anche nelle fattispecie di caso fortuito, forza maggiore, colpa lieve del dipendente.

Per questi motivi, una volta stabilito per legge che la contrazione del virus sul posto di lavoro o in itinere è un infortunio, il legislatore ha dovuto rassicurare le imprese stabilendo che esse assolvano gli obblighi previsti dall’articolo 2087 c. c. attraverso l’adempimento a quanto disposto nei benemeriti Protocolli di sicurezza.

IL RUOLO DEL DATORE DI LAVORO

Chiunque, però, è in grado di capire che, in caso di un contenzioso che abbia per oggetto la responsabilità del decesso da Covid-19 di un dipendente, dimostrare che le cautele erano del tutto conformi a norme articolate e complesse come quelle previste dai Protocolli dell’aprile 2020 e successive modifiche, potrebbe diventare una probatio diabolica, e che comunque potrebbe essere accertata a conclusione di un lungo processo.

E non si tratta di casi sporadici, anche se le misure indicate dai Protocolli e la loro concreta gestione si sono rivelate efficaci nel contesto generale. Dal resoconto periodico dell’Inail risultano 172mila denunce di infortunio da Covid-19 dall’inizio della pandemia all’aprile scorso, di cui 600 con esito mortale. La disponibilità del vaccino – che non c’era al tempo dei Protocolli – mette l’imprenditore con le spalle al muro ai sensi dell’articolo 2087, in quanto costituisce un evento innovativo sul piano dell’esperienza e della tecnica. Essendo questo soggetto del rapporto di lavoro il solo responsabile della sicurezza dei propri dipendenti, non può cavarsela denunciando la renitenza alla vaccinazione da parte di alcuni di essi, in condizione quindi di innescare focolai all’interno dell’azienda.

Pertanto è assolutamente giustificato il datore di lavoro se sospende il dipendente che non dimostra la propria immunità (del resto fino a oggi, con una temperatura superiore a 37,5°, nessuno aveva accesso sul posto di lavoro e, una volta superato l’eventuale contagio, il dipendente era tenuto a produrre la relativa certificazione).

Nessuno obbliga il prestatore a vaccinarsi; se preferisce può fare l’abbonamento al tampone a cui sottoporsi ogni 48 ore. Peraltro, la sospensione senza retribuzione è un provvedimento oggettivamente transitorio. Non c’è via d’uscita: se non si individuano possibilità di mutamento di mansioni o di lavoro da remoto, si arriva prima o poi alla risoluzione del rapporto di lavoro.

Nelle prime motivazioni della giurisprudenza campeggia proprio l’interpretazione dell’articolo 2087 c. c. al cui dispositivo l’imprenditore risponde in sede penale e civile in prima persona. Infine, siamo seri: non ha molto senso – se non come primo passo – introdurre il green pass per quei “quattro gatti’’ che frequentano i ristoranti, i cinema, i teatri e le palestre, mentre tutti i giorni vi sono milioni di persone che vanno al lavoro usando i mezzi pubblici e dividendo lo spazio in ufficio e in officina con tanti colleghi che hanno le loro stesse abitudini. Il governo dovrà pure occuparsi dei luoghi di lavoro, anche se il green pass non convince i sindacati.

I NODI DELLA SCUOLA

Si pone poi il problema cruciale delle scuole e della docenza in presenza. In proposito esistono opinioni diverse: se non si può tollerare la renitenza alla somministrazione del vaccino di una quota rilevante del personale (nei cui confronti devono valere nell’immediato le sanzioni della sospensione senza assegni), occorre maggiore prudenza con gli studenti, per non far ricadere sul loro diritto allo studio le scelte compiute dai genitori.

In ogni caso, ricordiamo – per non ripeterla magari in altre forme equipollenti – l’esperienza dell’anno scorso, quando in questo periodo si perdeva tempo a discutere di quelle sedie con le rotelle di cui non si è saputo più nulla. Come ha scritto Nunzia Penelope su Il Foglio, sarebbe opportuno allora che, dopo lo scambio di sportellate, le parti sociali – che hanno ben meritato nel sottoscrivere i Protocolli sulla sicurezza, assicurando la ripresa dell’attività produttiva nei settori strategici dopo il lockdown – si sedessero intorno a un tavolo per definire delle soluzioni condivise per quanto riguarda l’adozione del green pass.


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