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Nell’arco di un decennio l’Italia ha perso oltre 156mila imprese giovanili, che ora pesano meno del 9% sul totale delle aziende, rispetto all’11,5% del 2011, e la pandemia ha accentuato una tendenza in atto da tempo. Di queste circa 60mila hanno chiuso i battenti al Sud (dove passano dal 14,4% all’11%), che è l’area del Paese in cui gli under 35 “tradizionalmente” provano più che altrove a scommettere sull’autoimprenditorilità: erano oltre 285mila le imprese giovanili nel 2011, a fronte delle circa 164mila del Nord Ovest, 109mila del Nord Est e 137mila del Centro. Numeri ridimensionati a distanza di dieci anni lungo l’intero Stivale, ma al Sud il calo è stato più consistente che altrove (vedi tabella).

È quanto emerge dal rapporto “Lavoro e impresa: L’Italia non è un Paese per giovani” di Confcommercio. A una prima lettura, i numeri sembrerebbero raccontare di una particolare intraprendenza imprenditoriale da parte dei giovani del Mezzogiorno: nel 2020 le imprese giovanili in Italia erano 540mila, il 41,8% concentrato nelle regioni meridionali. Ma per molti giovani del Sud quella di fare impresa è quasi una scelta “obbligata” data la carenza di posti di lavoro qualificati e stabili sul territorio.

«Le imprese giovanili nel Mezzogiorno svolgono un importante ruolo di supplenza di fronte alla mancanza di opportunità di lavoro dipendente che sono maggiori nel resto del Paese – sostiene il direttore dell’Ufficio Studi della Confcommercio, Mariano Bella – Non ci sono grandi aziende, io molte possibilità di un’occupazione stabile e c’è quindi una maggiore propensione a creare impresa. Ma dura poco, il turnover è molto alto. Nel Sud, dove il numero delle imprese giovanili è maggiore, la riduzione è stata in valore assoluto pressoché doppia rispetto alle altre ripartizioni territoriali. L’autoimprenditarialità fa fatica, tant’è che le imprese giovanili rispetto alla popolazione tra i 18 e i 39 anni passano dal 6,3% del 2011 al 5,8% del 2020, quindi anche tenendo conto del calo demografico dei giovani, la percentuale di imprese giovanili sulla popolazione under 39 è in riduzione».

A mettere a dura prova l’intraprendenza dei giovani del Mezzogiorno sono «le variabii di contesto, dalla fiscalità alle infrastrutture e la banda larga che mancano – afferma Bella – Al Sud fare impresa è più difficile che altrove». Su queste variabili promette di intervenire il Piano nazionale di ripresa e resilienza, sostenendo quindi la resilienza dei giovani meridionali.

Confcommercio dà conto poi della perdita nel Paese di due milioni e mezzo di giovani occupati in vent’anni: erano 7,7 milioni nel 2019, 5,2 milioni nel 2019. Impietoso, si sottolinea nel rapporto, il confronto con la Germania dove sono sì diminuiti ma dieci volte di meno: -235mila.

Nello stesso periodo è aumentato il numero di coloro che potrebbero lavorare ma non lo fanno, tanto meno cercano un’occupazione, con una percentuale che è passata dal 40 al 50%, mentre in Germania è rimasta ferma al 30%. Non va meglio, avverte Confcommercio, per chi un lavoro comunque ce l’ha, dal momento che tra il 2004 e il 2019 i giovani impiegati a tempo indeterminato sono diminuiti del 26,6%, un “taglio” che arriva al 51,4% per gli autonomi.

Ma non finisce qui: con oltre due milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non studiano, i cosiddetti Neet (Neither in Employment or in Education or Training), l’Italia detiene poi il record europeo: in rapporto alla popolazione di questa fascia d’età rappresentano il 22%, contro il 15% della Spagna e il 7,6% della Germania. Un dato eclatante, soprattutto, rileva Confcommercio, di fronte alle circa 245mila ricerche di lavoro da parte delle imprese andate a vuoto per mancanza di profili adeguati: commercio, servizi di alloggio e ristorazione, istruzione, sanità e assistenza sociale sono i settori in cui sono particolarmente numerose, secondo il monitoraggio della Confederazione, le posizioni lavorative vacanti.

A completare un quadro già desolante gli oltre 345mila giovani che nell’ultimo decennio hanno lasciato il Paese – cancellando il proprio nome dalle anagrafi comunali – in cerca di fortuna e/o gratificazione dopo anni di studi. Se in valore assoluto il Nord è la ripartizione territoriale che registra il numero più elevato di espatri, in termini relativi il Sud lo eguaglia: in entrambe le aree il rapporto tra gli emigrati e la popolazione italiana tra i 18 e i 39 anni raggiunge nel 2019 il valore massimo, pari allo 0,6%. Se la precarietà del mercato del lavoro può spiegare i flussi in partenza dal Sud, al Nord la spinta maggiore arriva dalla posizione geografica di confine di alcune regioni che facilita i trasferimenti con Paesi limitrofi.

Di fronte a questo scenario e alle scelte che il Paese si appresta a fare con il Recovery Plan, il presidente della Confcommercio, Carlo Sangalli, ricorda che «il sostegno alle imprese giovanili rende più robusta, diffusa e duratura la crescita economica». «Per questo – aggiunge – è fondamentale utilizzare al meglio le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza destinate ai giovani, soprattutto per quanto riguarda formazione, incentivi e semplificazione burocratica. Favorire nel nostro Paese l’imprenditoria giovanile è la risposta più efficace alle sfide della competizione internazionale e della globalizzazione».


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