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Mario Draghi, presidente del Consiglio

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LA RIFORMA di Quota 100 e del Reddito di Cittadinanza. Girerà intorno a questi due provvedimenti la Legge Finanziaria per il 2022 che il governo metterà in cantiere nei prossimi giorni. Si tratta di intervenire su temi molto scottanti politicamente considerando che erano le due bandiere del primo governo Conte. Con la promessa di un sussidio pubblico molto esteso i grillini avevano vinto le elezioni del 2018 mentre la manovra delle pensioni aveva permesso alla Lega di superare Forza Italia prendendo la guida del centrodestra. Ora bisognerà fare macchina indietro e non sarà certamente facile perché le fibrillazioni nella maggioranza sono forti.

A favore di Draghi giocano due elementi: il suo personale carisma che rende l’attuale esecutivo assolutamente insostituibile in proiezione 2023 e poi le pressioni (ultima delle quali viene dall’Ocse) per arrivare alla riforma. In ballo ci sono stanziamenti piuttosto corposi anche se inferiori alle previsioni: Quota 100 è costata 10 miliardi a fronte dei 19 previsti. Il Reddito di cittadinanza mediamente 7,2 miliardi l’anno contro i 10 previsti.

Per quanto riguarda le pensioni l’ipotesi più gettonata è quella di introdurre Quota 41 generalizzata, con la possibilità per tutti di andare in pensione a 41 anni di contributi raggiunti. In alternativa si lavora a quota 102 che consentirebbe di uscire al compimento di 64 anni con 38 anni di contributi. In questo caso, però, ci sarebbe da stabilire il taglio dell’assegno rispetto che verrebbe incassato aspettando la scadenza naturale a 67 anni.

I problemi da risolvere sono duplici.  Da una parte l’Unione europea che aveva molto apprezzato la Riforma Fornero e quindi guarda con preoccupazione qualunque modifica che possa introdurre nuove forme di pensionamento anticipato. Dall’altra i sindacati che dieci anni fa furono costretti ad accettare le nuove regole imposte dal governo Monti in piena emergenza. Da allora non hanno mai smesso di provare a smontarla.  Su quota 41 sembra che sia possibile trovare un’intesa ed è probabile che, alla fine sarà questo il punto di caduta. Con l’accordo sugli statali, infatti il governo ha varato un nuovo patto di concertazione sul solco di quello stipulato nel 1993 da Ciampi. Tuttavia sul tavolo ci sono altre ipotesi come quota 92 che abbasserebbe molto gli anni di contribuzione per tenere conto delle difficoltà del mercato del lavoro. La proposta riguarderebbe soprattutto i lavori usuranti consentendo di uscire a 62 anni con 30 anni di contributi.

Nel valutare possibili alternative bisognerà anche tenere conto che Quota 100, contrariamente alle aspettative non ha avuto il successo previsto dalla Lega quando aveva messo il provvedimento fra i punti qualificanti del governo gialloverde.  Secondo le previsioni avrebbero potuto usufruirne quasi un milione di lavoratori, ma ne hanno fatto richiesta meno di 300 mila. La ragione dello scarso utilizzo di questa finestra consiste nel fatto che la riduzione dell’assegno pensionistico è molto elevata e quindi serve una ragione forte per andar via. Ancora più incerte sono le prospettive del reddito di cittadinanza. È certo che verrà confermato anche per il 2022 ma con una serie di correttivi volti a potenziare il suo collegamento con il mondo del lavoro.

Su quest’ultimo fronte, si inseriscono una serie di nuovi strumenti finanziati nell’ambito del Recovery Plan, come il programma Gol (Garanzia di occupabilità dei lavoratori). Il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, l’ha illustrato  a sindacati ed imprese. Un pacchetto di misure che  «si rivolge a tutte le persone beneficiarie di un ammortizzatore sociale o del Reddito di cittadinanza, oltre che giovani neet, persone con disabilità e altre persone in condizione di fragilità nella ricerca del posto di lavoro. Per ciascuno è previsto un percorso appropriato alle caratteristiche personali e alla situazione del mercato del lavoro locale». Oltre a questi percorsi ad personam, ce ne saranno altri di gruppo in caso di crisi aziendali. Infine, ci saranno percorsi ad hoc nei casi che incrociano l’esigenza di inserimento sociale o di conciliazione tra lavoro e famiglia, per esempio per le madri single. Il piano avrà un orizzonte temporale di 5 anni fino al 2025 mentre le risorse complessive, previste dal Pnrr, sono pari a 4,4 miliardi di euro a valere sul Gol, cui si aggiungono 500 milioni di euro per il React-Eu, 600 milioni per il rafforzamento dei centri per l’impiego (di cui 400 già in essere e 200 aggiuntivi, oltre ad ulteriori 470 che restano sul bilancio dello Stato) e 600 milioni di euro per il rafforzamento del sistema duale.

Due i target fissati dalla riforma: almeno 3 milioni i beneficiari di Gol entro il 2025 di cui almeno il 75% donne, disoccupati di lunga durata, persone con disabilità, giovani under 30 e lavoratori over 55; e che almeno 800 mila dei 3 milioni di beneficiari siano coinvolti in attività di formazione, di cui 300 mila per il rafforzamento delle competenze digitali.


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