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Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte insieme al ministro Provenzano

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ACCOMPAGNATE da una lettera del premier Giuseppe Conte, le linee guida per il Recovery Plan elaborate dall’esecutivo sono arrivate in Parlamento, di fronte il quale il governo «è disponibile a riferire» e a cui «sarà assicurato il pieno coinvolgimento delle Camere al fine di recepire indirizzi, valutazioni e proposte concrete di intervento».

«L’attuale fase programmatoria rappresenta uno snodo strategico, una occasione storica irrinunciabile per il successo della azione economica e per le prospettive di crescita e di modernizzazione dell’Italia – ha scritto il presidente del Consiglio -. Certamente la sfida che ci attende è estremamente complessa e necessita del dispiegamento delle migliori energie e competenze del Paese nonché del costante dialogo e collaborazione tra le istituzioni». La sfida che il governo deve affrontare è quella di portare il Paese fuori dalla crisi in cui il Covid 19 l’ha fatta precipitare, aggravando un quadro già compromesso, e l’illustrazione del contesto economico e sociale che, nel documento, introducono il piano ne offrono uno spaccato esauriente.

Qualche dato: il debito pubblico italiano è il secondo più elevato della Ue in rapporto al Pil dopo la Grecia e secondo le previsioni, a fine 2020, subirà un incremento di oltre 20 punti percentuali a causa della pandemia e delle misure di contrasto alla crisi varate dal governo; il Pil è inferiore alla media europea e nel 2019 era ancora inferiore del 4% rispetto al 2007, così come il tasso di investimento è al di sotto di quello del 2008; il divario tra Nord e Sud si è aggravato in termini di Pil, occupazione e benessere.

GLI OBIETTIVI DEL PIANO

L’altra prova che spetta al governo è non mancare l’occasione storica che arriva dall’Europa per rilanciare il Paese. Ora o mai più, è il refrain. E il rilancio passa dal conseguimento di obiettivi puntuali: dal raddoppio del tasso medio di crescita dell’economia italiana (0,8% nell’ultimo decennio), portandolo quantomeno in linea con la media Ue (1,6%) all’aumento degli investimenti pubblici puntando almeno al 3% del Pil; dall’aumento del tasso di occupazione di 10 punti percentuali per arrivare all’attuale media Ue (73,2% contro il 63,0% dell’Italia) alla riduzione dei divari territoriali, infrastrutturali e nei servizi; dai maggiori investimenti in ricerca e sviluppo alla promozione della crescita demografica, fino al contrasto dell’abbandono scolastico e all’aumento dei diplomati e laureati.

Tre le linee strategiche del piano – modernizzazione del Paese; transizione ecologica; inclusione sociale e territoriale, parità di genere – e sei le missioni, ovvero le aree tematiche di intervento su cui si articoleranno i cluster dei progetti chiamati a centrare gli obiettivi individuati dal governo. Ma anche le raccomandazioni della Commissione europea – che, tra le altre cose, chiede di rendere più efficiente il sistema giudiziario e la Pa – anch’esse funzionali al raggiungimento degli obiettivi, come lo sono le politiche e le riforme di supporto al piano: investimenti, ricerca e sviluppo, riforme del lavoro, del fisco, della Pa e della giustizia.

I CRITERI DI VALUTAZIONE DEI PROGETTI

I progetti dovranno comunque superare una selezione basata su criteri ben definiti, che ne determinano una valutazione positiva o negativa, e quindi l’ammissione o l’esclusione. In particolare, tra quelli che potranno confidare in un via libera, tra gli altri, rientrano i progetti con una rapida attuabilità/cantierabilità, soprattutto nella prima fase del Pnrr, e questo però compromette la possibilità di includervi la maggior parte delle opere infrastrutturali che il ministro Paola De Micheli aveva messo in lista per il Mezzogiorno. Come risulta evidente anche scorgendo l’elenco dei criteri di valutazione negativa che di fatto esclude le infrastrutture che non hanno un livello di preparazione progettuale sufficiente, considerando i tempi medi di attuazione data la dimensione del progetto.

Potrebbero rientrarvi, quindi, solo il ponte sullo Stretto, messo però in stand by dal governo, un tratto della Statale Jonica e un lotto della Napoli-Bari. Pollice su, poi, per i progetti che contribuiscono al raggiungimento dei Lep, riguardano beni pubblici, contribuiscono ad aumentare l’occupazione o prevedono partenariati pubblico-privato. Pollice verso, invece, per quelli “storici” con noti problemi di attuazione, con un impatto economico non duraturo sul Pil o l’occupazione o finanziabili interamente con altri fondi Ue.

LE MISSIONI

Digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per la mobilità; istruzione, formazione, ricerca e cultura; equità sociale, di genere e territoriale; salute: le sei missioni «per un’Italia più digitale, verde, competitiva e giusta». Alla prima missione è affidato il completamento della rete nazionale di telecomunicazioni in fibra ottica, interventi per lo sviluppo del 5G, ma anche la realizzazione di data center e cloud e l’arrivo dell’identità digitale unica per cittadini e imprese. La rivoluzione verde passa attraverso infrastrutture per una graduale de-carbonizzazione nei trasporti, piani di forestazione urbana e anche rimboschimenti per limitare i rischi idrogeologici; investimenti in economia circolare partendo da rifiuti e fonti rinnovabili; fiscalità di vantaggio per le imprese sostenibili; sostegno alla transizione ecologica per l’agricoltura, l’industria e la siderurgia. Per sviluppare le infrastrutture per la mobilità, il governo intende puntare, in primo luogo, sulla rete ferroviaria AV-AC ad alta velocità di rete per passeggeri e merci con il completamento dei corridoi TEN-T.

Ridurre il divario tra Centro-Nord e Mezzogiorno rientra tra gli obiettivi affidati a questa missione. Il “piano” per l’istruzione prevede il cablaggio con fibra ottica delle infrastrutture scolastiche e universitarie da riqualificare anche in chiave di efficienza energetica e antisismica. Ma anche l’arrivo di infrastrutture per e-learning e il potenziamento degli asili e i nidi tra zero e sei anni, il potenziamento della ricerca, la riqualificazione e formazione del personale docente, la digitalizzazione dei processi e degli strumenti di apprendimento. Gli interventi finalizzati al raggiungimento di una maggiore equità vanno dalla creazione di posti di lavoro e tutela del reddito al rafforzamento delle politiche attive anche a favore dell’occupazione giovanile, dal contrasto al lavoro sommerso all’empowerment femminile con percorsi di formazione, occupabilità e autoimprenditorialità a favore delle donne e con l’obiettivo di ridurre il gender pay gap.

Centrali il Family act «raccordato alla riforma dell’Irpef» e l’attuazione del Piano Sud 2030. Per la salute si prevede di migliorare la qualità ricettiva degli ospedali, compresi i letti in terapia intensiva, investire nella digitalizzazione dell’assistenza medica, promuovendo la diffusione del fascicolo sanitario elettronico e la telemedicina, rafforzare la prossimità delle strutture del SSN, sostenere la ricerca medica, immunologica e farmaceutica.

LE RIFORME

A supporto del Recovery Plan il governo mette in campo un quadro di politiche ad hoc per spingere gli investimenti e la ricerca e lo sviluppo: nel primo caso si punta a portare gli investimenti pubblici ampiamente al di sopra del 3% del Pil, valorizzare il ruolo di Cdp, Invitalia e Investitalia, e snellire le procedure amministrative. Mentre nell’ambito delle concessioni, oltre a prevederne la revisione – per migliorare servizi e costi e garantire trasparenza e competitività tra gli operatori – e la modifica delle responsabilità penali ed erariali dei decisori pubblici, vuole migliorare la manutenzione e il monitoraggio delle opere pubbliche e promuovere il coinvolgimento di investitori istituzionali nello sviluppo delle infrastrutture. Per la ricerca e lo sviluppo il governo si ripropone di “accompagnare il Pnrr per incrementare complessivamente la spesa per R&S e ricerca universitaria di almeno 0,2 punti percentuali di Pil nel prossimo quinquennio”.

Se la riforma della Pa passa da “un programma strategico di rafforzamento delle competenze e della capacità amministrativa” e prevede anche la regolazione dello smart working, quella del fisco punta su due principali linee di azione: la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro e la revisione complessiva della tassazione verso una maggiore equità. Il prossimo passo, si legge, “consisterà in una riforma complessiva della tassazione diretta e indiretta, finalizzata a disegnare un fisco equo, semplice e trasparente per i cittadini, che riduca la pressione fiscale sui ceti medi e le famiglie con figli e acceleri la transizione del sistema economico verso una maggiore sostenibilità ambientale e sociali”. Sul fronte del lavoro, l’esecutivo mira al “rafforzamento della contrattazione collettiva nazionale” e all’introduzione “del salario minimo legale”, che garantirà nei settori a basso tasso di sindacalizzazione “un livello di reddito collegato ad uno standard minimo”.

La riforma della giustizia “promette” la riduzione della durata dei processi civili e penali, la revisione del codice civile e la riforma del diritto societario per uniformare la governance societaria agli standard Ue e la riforma della disciplina della crisi d’impresa.

LE RISORSE

La Recovery and resilience facility metterà a disposizione dell’Italia 191,4 miliardi, che saliranno a 208,6 miliardi complessivamente previsti dal Next Generation Eu grazi ad altri fondi europei (vedi tabella). Per quanto riguarda la Rff il 70% dell’importo totale dovrà consistere in progetti da presentare al più tardi nel 2022, con le risorse relative che dovranno essere impegnate entro quell’anno. Il governo intende utilizzare la parte di sovvenzioni per conseguire un incremento netto di pari entità degli investimenti pubblici nel periodo 2021-2026. Al Pnrr si affiancherà una programmazione di bilancio volta a riequilibrare la finanza pubblica nel medio termine dopo la forte espansioni del deficit prevista per quest’anno in conseguenza della pandemia.


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