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Il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia

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PER EFFETTO dell’emergenza Covid tra Stato e Regioni è letteralmente esploso il contenzioso. Ricorsi e controricorsi. Un corpo a corpo tra governo centrale ed enti territoriali, una moltiplicazione di carte bollate che ha ingolfato la Corte costituzionale.  Un conflitto che nell’80% circa dei casi si è risolto con un giudizio di inammissibilità e infondatezza.  Le materie in cui la “rissa legale” si è risolta con un nulla di fatto, facendo tempo e denaro sia allo Stato che alle Regioni, sono per lo più sempre le stesse: Concorrenza 57% delle impugnazioni inammissibili o infondate; Pubblico impiego (34%); Ambiente (34%) e Coordinamento della finanza pubblica (30%). Una coazione a ripetere lo stesso schema. Le regioni legiferano, lo Stato impugna e viceversa. Risultato: una palude legale.  

LE REGIONI SCELGONO LO SCONTRO

Premessa. Il governo quando ritiene che una legge regionale ecceda le competenze della regione può promuovere una questione di legittimità costituzionale. Stesso dicasi per una regione, un comune o una provincia nel caso in cui una legge o un atto avente valore di legge dello Stato invada la sua competenza (art.127 della Costituzione).

280 VOLTE “NO”

L’iter non sarebbe dunque complicato. Ogni legge regionale viene esaminata dal governo che ha 60 giorni dalla data di pubblicazione in Gazzetta ufficiale per promuovere la questione di legittimità.  Il Dipartimento degli Affari regionali ne cura l’istruttoria in raccordo con i ministeri competenti. “Per 280 volte, dal 2015 a oggi, le Regioni non hanno ottemperato agli impegni presi”, ha svelato Francesco Boccia.  “Ci sono materie in cui lo Stato vince sempre”, ha aggiunto il ministro agli Affari regionali, martedì scorso, dinanzi alla Commissione bicamerale per le Questioni regionali. Ebbene, nonostante il rischio di incostituzionalità, le regioni spesso preferiscono tirare dritto. Scelgono lo scontro. “Dinanzi a questi numeri bisogna darsi un time out”, ha tuonato il ministro Dem. Come dargli torto? Il tema del contenzioso investe direttamente il progetto di autonomia differenziata. C’è chi usa le leggi regionali come un elastico. Vuole tenderlo sempre di più. Un puro esercizio di stile per caratterizzare in senso federalista la gestione di un ente. Anche a costo di scontrarsi con un giudizio di inammissibilità e infondatezza.  

Anche prima del Covid 19 le avvocature dello Stato lavoravano a pieno regime: i numeri delle leggi esaminate e impugnate dal Consiglio dei ministri erano infatti molto alti. Su un totale di 3.414 leggi regionali esaminate ben 330 impugnate (fonte Dipartimento per gli Affari regionali).  

LE ORIGINI DEL CONTENZIOSO  

L’esplosione del contenzioso si fa risalire ormai a quasi vent’anni fa, quando con la riforma del Titolo V nell’anno di grazia 2001 si disegnò l’attuale struttura delle regioni. Approvata da una maggioranza di centrosinistra e confermata da un referendum, La svolta “federalista” passò con il 66,1% di Si (per il No il 34%), alle urne si recò il 33,9% degli elettori.  Fu una rivoluzione copernicana destinata a decentrare i centri di spesa dallo Stato centrale agli enti locali, in particolare il coordinamento della sanità che oggi rappresenta circa il 75% del bilancio delle regioni.

La rivoluzione comportò tutta una serie di passaggi – compartecipazione regionale all’Iva, addizionali alle imposte Irpef e Irap – ma si fermò a metà. Così che, prive di una loro completa autonomia, le Regioni hanno continuato a dipendere dalla fiscalità generale. Per assorbire la spinta leghista, gli enti territoriali più ricchi hanno continuato ad invocare un ampliamento del loro raggio d’azione e delle loro competenze. Se a questo aggiungiamo la totale assenza di una cultura della coabitazione, cultura presente in altri Paesi europei, ecco spiegato il gigantesco contenzioso che si è riversato sulla Corte costituzionale.  Una babele di regole impugnate e contro-impugnate.Alla base del conflitto istituzionale l’idea che con la riforma del Titolo V vi debba essere una erosione della sovranità dello Stato a vantaggio degli enti territoriali. Un sovranismo a senso unico.

PENDENTI 130 RICORSI   

Pendono presso la Corte costituzionale 130 ricorsi presentati dal presidente del Consiglio dei ministri e dalle regioni contro Palazzo Chigi. Riguardano i tempi più disparati: l’ambiente, e dunque la gestione di impianti di depurazione, il servizio idrico, le tipologie dei rifiuti (in Toscana, ad esempio) O l’istituzione in Liguria del garante regionale per la tutela delle vittime dei reati, regione che ha previsto anche la figura del garante per i diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della personalità personale. Un posto da garante insomma non si nega a nessuno. Invasioni di campo, duplicazioni di funzioni, sovrapposizioni. Norme sull’esercizio venatorio, sostegno al marketing turistico, misure straordinarie a favore di consorzi, gestione del demanio e del patrimonio dello Stato, gestione dell’emergenza Covid-19. Nella disputa infinita Stato-regioni tutto fa brodo.  


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