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Il governatore della Lombardia Attilio Fontana e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte

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NON SIAMO ancora alla sollevazione dei super-governatori ma lo scontro è a tutto campo. Si è trasferito dal Parlamento alle Regioni. Riguarda le misure da adottare per fronteggiare la pandemia ma non solo. Un esempio? Mentre ieri l’altro si cercava un accordo in Conferenza Stato-Regioni per evitare il solito ping-pong di ordinanze e contro ordinanze, il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro Francesco Boccia, impugnava la legge di assestamento di bilancio della Regione Lombardia, la numero 18 del 7 agosto 2020.

IL COLPO DI MANO

Con un colpo di mano ferragostano, la giunta del Pirellone ha infatti prorogato per i prossimi tre anni la scadenza di tutti i permessi. Concessioni, autorizzazioni, titoli abitativi. Un bel colpo di spugna. Un regalino ai costruttori e a chi occupa abusivamente un alloggio comunale sotto il grande ombrello dall’emergenza Covid. Ma qualcosa non è andato per il verso giusto. E il Cdm ha impugnato la deliberazione della giunta lombarda «in aperto contrasto con i principi fondamentali del governo del territorio».

Deciderà, insomma, la Corte costituzionale. Il faldone in cui giace il gigantesco contenzioso tra governo ed enti locali è destinato purtroppo a crescere, come i contagi. Del resto, invadere le competenze statali in certe regioni è diventata la regola. Sull’onda del Covid più facile da applicare. «Il regionalismo differenziato non è ancora diventato una realtà e il presidente Fontana deve farsene una ragione», fa notare Marco Fumagalli, consigliere regionale M5S. E aggiunge: «In un settore come l’edilizia e i titoli abitativi, comparti delicati per gli interessi dei cittadini e dei professionisti, la Regione è intervenuta con superficialità, generando grandissima confusione».

L’ACCERCHIAMENTO DELLE REGIONI NUOVA OPPOSIZIONE

La seconda ondata è alle porte. Verrebbe dunque da dire «stringiamoci a coorte». Ma non è così. Anzi. In assenza di una qualsiasi cultura della coabitazione, le Regioni, soprattutto quelle a guida centrodestra, attaccano a spron battuto. E sono la maggioranza (15 contro 5, o 13 contro 7 come sostiene Boccia, considerando nel suo schieramento anche Trentino e Val d’Aosta). L’opposizione ormai assente alla Camera e in Senato riverbera negli enti locali. Se poi aggiungiamo che Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia-Romagna, e Vincenzo De Luca, entrambi Pd, giocano la loro personalissima partita, il quadro è completo. L’accerchiamento

FEDRIGA VUOLE PIU’ AUTONOMIA

Un altro che parte all’assalto lancia in resta è il presidente del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga. Si accontenterebbe di “poco”: vorrebbe rivedere il contributo regionale alla finanza pubblica per il 2020 e per il 2021, trasferire il gettito del bollo auto, incrementare la quota di partecipazione all’Iva e trasferire alla Regione alcune funzioni amministrative, come l’ufficio scolastico regionale, la Soprintendenza, un nuovo ordinamento della polizia locale. In pratica la revisione sic e simpliciter dell’accordo bilaterale tra Stato e Rregione firmato lo scorso 20 luglio. E non basta, il presidente del Fvg, leghista e salvinista della prima ora, chiede ulteriore autonomia anche in materia di emergenza sanitaria, convinto che la sua Regione sia in grado di dare risposte «più economiche ed efficienti».

E’ questo il contesto esacerbato in cui si muove dunque il ministro agli Affari regionali, Francesco Boccia. Fedriga non è il primo e non sarà l’ultimo a fare la voce grossa. Pretende la modifica della quota regionale di compartecipazione all’Iva, portandola a 9,1 decimi. Il trasferimento alla sua Regione dell’ordinamento delle Camere di commercio e la relativa “rideterminazione” delle compartecipazioni erariali. Il premier Giuseppe Conte agita il ramoscello d’ulivo. Sa che gestire una seconda ondata in pieno conflitto con i governatori – di destra ma anche di sinistra – porterebbe allo sfascio. Ma viene smentito dai fatti e dalle parole. «Le Regioni hanno combattuto e stanno combattendo in prima linea contro il virus senza colori politici, uniti per il bene comune. Riteniamo fuori luogo che alcuni consulenti dell’esecutivo nei giorni scorsi abbiano puntato il dito sul nostro operato in temi di nostra competenza», marca il territorio Giovanni Toti, presidente della Liguria.

CAMPANIA, 6 MILIONI DI PERSONE, 500 POSTI DI TERAPIA INTENSIVA

Nella conferenza Stato-Regioni si è parlato ieri dei vaccini e dei test rapidi. Atmosfera meno tesa dei giorni precedenti ma sempre a condizione che non vengano compressi i poteri degli enti locali. Il pericolo che il Sud si trasformi in una grande zona rossa è l’incubo di tutti. Ma i presidenti a volte – come le comari di Fabrizio De André – non brillano di iniziativa.

In Campania si è acceso uno scontro tutto interno tra il sindaco di Napoli Luigi de Magistris e il governatore della Regione Vincenzo de Luca. Il primo accusa il secondo di aver costruito la sua “fortuna politica” sul virus. «Da giugno c’è un aumento di contagi progressivo e considerevole – dice De Magistris – ma il presidente della Regione non ha messo norme restrittive e ha continuato a dire che la situazione era sotto controllo, prima del voto mai si sarebbe sognato di chiudere i locali alle 23, poi, come per magia, dopo il 20 settembre è nuovamente iniziata la politica del lanciafiamme. febbraio avevamo 334 posti letto di terapia intensiva per 6 milioni di abitanti, oggi, dopo 7 mesi, i posti letto sono 500 e dovrebbero essere 1.500».


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