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Nicola Zingaretti

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Dunque siamo arrivati alla svolta: stamattina Conte si dimette. Ovviamente alcune incognite rimangono: cosa avrà deciso veramente o di cosa avrà preso atto l’assemblea dei gruppi parlamentari di M5S ieri notte; se qualcosa si sbloccherà nella costruzione sinora fallita della quarta gamba di legno a sostegno del governo; come finirà la faccenda sulla giustizia, perché si dovrà vedere se Bonafede manterrà o meno il suo incarico attuale nel nuovo esecutivo. Finora l’impressione è che per ora questa alleanza continui ad essere senz’anima.

Perché è inutile girarci intorno: nelle numerose prese di posizione dei vari “tattici” più o meno geniali che inondano giornali e talk show ci sono tutte le soluzioni possibili per il deficit di consenso parlamentare, ma di proposte un minimo organiche sulla crisi vera in cui versa il paese non ce ne sono. La spiegazione è facile: qualsiasi proposta su quel tema metterebbe maggiormente in difficoltà la costruzione del consenso. Se si vuol capirci qualcosa in questo (ultimo?) cammino della crisi partiamo da qui.

Tutti i retroscenisti ci informano che Conte non si fida di avere il reincarico una volta che avesse dato le dimissioni, nonostante i due partiti maggiori, M5S e PD, lo designino senza alternative, LeU si accodi, la quarta gamba non potrebbe che essere d’accordo e persino Renzi e i suoi dicano di non avere problemi sul nome del premier. Il fatto è che una crisi pilotata per risolversi in tempi rapidi non deve avere un accordo solo sul nome dell’inquilino di Palazzo Chigi, ma anche sulla distribuzione dei posti di governo e sulla soluzione da dare almeno ad alcuni dei nodi con cui ci si andrà a scontrare. Ecco dove stanno le preoccupazioni, da questo punto di vista non infondate, del presidente del Consiglio.

Il mitico Conte ter dovrebbe di necessità radere al suolo il due e accordarsi su una squadra che a parole tutti chiedono sia di alto profilo. Aggiungiamoci che si dovranno rivedere le distribuzioni percentuali nei posti: come minimo ci sarà da accontentare quelli della quarta gamba, che sono numerosi e piuttosto affamati. Ma al di là di questo si dovranno toccare caselle delicate dei Cinque Stelle, perché sono loro i maggiori accusati di performance non esattamente splendide. Magari a sacrificare una Catalfo non ci vuole molto, già con una Azzolina la questione è più spinosa, non parliamo con Bonafede, cattivo ministro, ma capo delegazione e uomo di Conte. Sono solo tre esempi, ma di casi problematici ce ne sono altri, anche tra i sottosegretari. Con un partito in eterna fibrillazione come è M5S tutto può diventare esplosivo.

Magari il PD è messo un poco meglio, ma anche qui c’è il tema di rafforzare la squadra e dunque ogni sostituzione di ministri attuali è una bocciatura degli interessati e nel partito non è che manchino le tensioni e soprattutto gli equilibri fra le correnti da rispettare. Facciamo finta che per LeU il problema non esista, perché Speranza non si può mettere in discussione a meno di non aprire falle nel sistema di gestione della pandemia (e poi ha fatto sostanzialmente bene), ma qualche spina potrebbe esserci coi sottosegretari.

Il problema complicatissimo sarà come accontentare una quarta gamba che è fatta di gruppi e correnti diverse, tanto alla Camera quanto al Senato e che non si sa quanto potrà tenere a freno gli appetiti dei trasformisti a pro degli elementi più seri e spendibili (ragioniamo al buio, perché non sappiamo chi poi davvero formerà questo nuovo gruppo parlamentare). Infine ci sarà Italia Viva, perché c’è necessità di tenerla dentro, ma se non si vuol correre il rischio di scarti in corso d’opera, bisogna dare a Renzi posizioni chiave che non gli consentano poi di smarcarsi.

Come si vede il rebus è gigantesco. Ma tutto non finisce qui. Il nodo del Recovery Plan è ancora tutto sul tavolo. Come gli industriali hanno detto schiettamente a Conte, se si vuol avere successo a Bruxelles bisogna pianificare la soluzione di alcuni problemi atavici: la giustizia, la pubblica amministrazione, il meccanismo di governo e di controllo per l’operatività degli investimenti. Non basteranno belle promesse: di quelle sono già pavimentate tutte le strade che portano alla UE (e non solo) senza che si sia mai concluso molto. Si capisce bene che sono questioni molto problematiche che toccano non solo sensibilità (per non dire mantra politici) di questo e di quello, ma anche un numero impressionante di interessi corporativi.

Il tema della governance dei miliardi europei è un enorme macigno, perché tutti sanno, non solo nella maggioranza ma anche nell’opposizione, che di lì passerà, salvo un fallimento che ci trascini a fondo (e che proprio va evitato), la ridistribuzione del potere e la conseguente geografia politica per i prossimi dieci anni e forse anche oltre. Per questo tutti vogliono vedere un Conte dimezzato, dopo i suoi improvvidi tentativi di avviare lo sfruttamento dell’occasione a vantaggio suo e di un suo gruppo di riferimento.

Uscire da questo impasse che è qualcosa di più di una “normale” crisi di governo sarà un’impresa complicata e probabilmente non breve. Più della marea di tattici in servizio permanente effettivo servirebbero uno o due strateghi di talento. Vedremo se l’occasione, che oltre a fare l’uomo ladro a volte lo fa anche quasi eroe inaspettato, questa volta farà una specie di miracolo.


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