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Mario Draghi

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In fondo, intelligenti pauca. La traduzione è facile. Significa che, almeno per chi ha orecchie per sentire, al dunque per intendersi servono poche parole. Bastano due o tre concetti chiave per disegnare i contenuti e il perimetro d’azione. È così che Mario Draghi si è presentato agli italiani nel momento in cui ha deciso di accettare l’incarico di fare il nuovo governo. Sobrietà, chiarezza, niente fronzoli. E l’autorevolezza che promana dall’aver affrontato e domato la peggiore crisi della moneta unica, fondamento e baluardo dell’Europa.

Il primo concetto è l’emergenza. Quella che in tanti fanno finta di non vedere per coltivare interessi singoli o populistiche rendite di posizione. Invece la pandemia ha sconvolto le nostre vite, le nostre economie, le nostre società. Dunque è da lì che bisogna partire per rendere chiaro ai cittadini e alle forze politiche l’itinerario da percorrere. “Vincere la pandemia, completare la campagna vaccinale, offrire risposte ai problemi quotidiani delle persone, rilanciare il Paese”: ecco il campo d’intervento.

Non un semplice elenco di intenzioni, l’ennesimo libro di sogni e di promesse che i partiti hanno sciorinato in questi anni senza mai arrivare a conclusione. Non a caso la disaffezione, elettorale e non solo, nasce di qui. Al contrario l’invito di Draghi è concretezza pura. Nasce da una convinzione, e cioè che “la consapevolezza dell’emergenza richiede risposte all’altezza della situazione”.

Consapevolezza, non superficialità. Risposte, non demagogia. È la bussola di chi prende in mano una situazione difficilissima e non si nasconde dietro la retorica, né vellica la popolarità accarezzandola per il pelo dei sondaggi o dei like. E neppure agogna a fondare partiti o movimenti da usare come sgabello di ambizioni più o meno velleitarie.

È il sentiment che l’ex presidente della Bce e presidente del Consiglio incaricato intende trasmettere a tutti i suoi interlocutori: politici, economici, sociali. Trattandoli con il rispetto che è loro dovuto in quanto espressione della variegata e decisiva stratificazione popolare. Ma al tempo stesso da loro richiedendo altrettanto rispetto e attenzione.

È il secondo concetto espresso da Draghi, quello più impegnativo, che viaggia in sintonia con lo sforzo fatto dal capo dello Stato nel corso del suo mandato per tenere insieme spinte e contrapposizioni che lasciate a sé stesse avrebbero rischiato di lacerare il tessuto connettivo dell’Italia. Si tratta del richiamo alla fondamentale coesione sociale, alla necessità cioè che la consapevolezza dell’emergenza coinvolga ogni parte della Nazione e sia stimolo per lavorare unitariamente verso il traguardo. La coesione sociale che è il contrario degli egoismi territoriali, del piccolo cabotaggio dei caciccati municipali, delle convenienze di questo o quel governatore.

La coesione sociale a cui Draghi fa doverosamente riferimento è quella che dice che l’Italia si salverà tutta intera o non si salverà affatto. Che il Nord non può disinteressarsi del Mezzogiorno. Che le zone più avanzate del Paese devono farsi carico delle esigenze delle aree depresse; che chi sta peggio va aiutato, al contempo sapendo – anche questa è consapevolezza della crisi – che quell’aiuto non è bambagia assistenzialistica sulla quale adagiarsi bensì capacità di cogliere le opportunità e saperle sfruttare per un protagonismo che virtuosamente mischia orgoglio e risultati. Guai a sprecare le occasioni che il tornante della storia ci offre.

“Abbiamo a disposizione le risorse straordinarie della Ue – avverte l’ex governatore – l’opportunità di fare molto per il Paese con un sguardo attento al futuro delle giovani generazioni”.

È il terzo concetto contenutistico del Draghi-pensiero. Sul tappeto c’è il Recovery Plan, il volano che deve risollevare in Paese. Se sprechiamo le occasioni, se cicaleggiamo non pensando al domani, se accumuliamo debito senza crescita che poi scaricheremo sui nostri figli, allora vuol dire che toglieremo loro la leva più importante, il patrimonio più incisivo: in una parola, il futuro.

Draghi sa bene che è un compito che fa tremare i polsi. E sa benissimo che il traguardo non può tagliarlo da solo. Ogni stilla di energia politica, economica, sociale deve essere messa a disposizione di un obiettivo che può essere raggiunto ma non è gratuito. È per questo che si rivolge alle forze politiche e “al Parlamento espressione della volontà popolare”.

È l’abc della democrazia. A loro si richiamerà chiedendo di condividere lo sforzo di tornare a far correre l’Italia. Da loro si aspetta “la capacità di dare una risposta responsabile e positiva all’appello del presidente della Repubblica”. Appello inviato da Mattarella, anche e soprattutto attraverso la scelta di Draghi, che in un certo senso ha bruciato i vascelli alle spalle e, dopo il valzer degli opportunismi e delle tattiche un po’ asfittiche e un po’ megalomani, intende richiamare tutti all’esercizio dei rispettivi doveri in un passaggio così impegnativo.

L’incarico a SuperMario è l’ultima carta che gioca il Quirinale, la più importante. Chi lavora per farla fallire non può nascondersi: il default di fiducia dei cittadini aprirebbe voragini che chissà poi chi sarebbe più in grado di colmare.


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