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Vito Crimi, coordinatore del Movimento Cinque Stelle

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I CONTRACCOLPI dell’avvento di Draghi sul sistema dei partiti si fanno sentire. C’è la ripresa della voglia di protagonismo dei leader politici per contrastare l’occupazione della scena da parte del nuovo premier che ci riesce, come testimoniano i sondaggi, senza cedere proprio in nulla al teatrino della politica e dell’apparire. Così Salvini esterna dopo averlo incontrato e Grillo rilancia piani per la riforma dell’intero sistema nella speranza di ridare una qualche centralità al suo non-pensiero.

Ma sin qui siamo più o meno nella normalità. Diverse sono le considerazioni da fare sull’impasse almeno momentaneo in materia di nomina dei sottosegretari, perché quello rivela una carenza di indirizzo politico nei vertici dei partiti, che più che a ricercare esibizioni di autorevolezza sembrano alla ricerca di postazioni di controllo reciproco e soprattutto verso la squadra di Draghi. Il cuore dell’impasse sembra però essere la crisi che attanaglia i Cinque Stelle.

Il colpo di immagine ricevuto dalle defezioni di un numero tutt’altro che insignificante di loro personaggi di prima fila è duro da assorbire. Senza mancare di rispetto a nessuno, è evidente che altra cosa sono abbandoni di personaggi come De Falco o da ultimo Carelli rispetto a quelli di Di Battista, Morra, Lezzi, con mugugni neppur nascosti di Taverna e Tonelli. Rispondere alla sfida che viene da questi eventi non è che lo si possa fare provando ad ottenere un sottosegretario in più di quelli che indicherebbe il calcolo del loro apporto proporzionale alla fiducia al governo.

Ci vorrebbe un colpo d’ala. Lo si cerca nel tentativo di coinvolgere Giuseppe Conte in un ruolo di leadership nel movimento. L’impresa però non si sa quanto possa essere di successo e non solo perché l’interessato non ha ancora valutato se questa offerta sia vantaggiosa per lui. Il fatto è che l’ex premier ha avuto un ruolo rilevante come amministratore di un condominio rissoso dei partiti che lui fino ad un certo punto è riuscito ad impedire che entrassero in conflitto. Si badi bene che non lo ha fatto “facendo sintesi” come banalmente tendono a celebrare i suoi corifei, ma rinviando i problemi, posponendo le scelte, evitando di misurarsi su quanto poteva essere divisivo. Come si è detto con una frase fatta, nascondendo la polvere sotto il tappeto, e che per questo abbia mostrato talento è indubbio. Poi magari ha ottenuto anche dei risultati avocando a sé la gestione di qualche materia di maggiore impatto in tema di contrasto alla pandemia, perché era un campo da cui alla fine i partiti si tenevano volentieri lontani.

Sono tutte cose che ha potuto fare perché era il presidente del Consiglio. Senza quella posizione, a cui per un tempo non breve non può sperare di tornare, non avrebbe potuto svolgere quella funzione. Ci si aggiunga che ha beneficiato di un buon sostegno internazionale da parte di partner che comprensibilmente lo vedevano come una bella alternativa tanto al sovranismo salviniano quanto agli utopismi grillini.

Adesso però al governo c’è Draghi ed è a lui che Conte diventerebbe l’alternativa: non c’è bisogno di grandi competenze in politica internazionale per capire quale dei due verrebbe preferito dai vertici di quei mondi. Non possiamo naturalmente affermare che Conte non sia in grado di esercitare un ruolo da vero dirigente politico, cioè che sia capace di proporre visioni, di guidare operazioni di rimodulazione del sistema-paese, di elaborare veri programmi che raccolgano il consenso dei ceti dirigenti (è roba diversa dal lanciare qualche slogan per un applauso momentaneo).

Dobbiamo solo dire che fino adesso non ha dato prova di queste capacità, senza le quali non può rilanciare né i Cinque Stelle, né un eventuale suo partitello dovendo competere con quanto verrà realizzato dall’attuale governo. Non sappiamo come faccia Goffredo Bettini a continuare a scommettere su Conte come figura chiave per il rilancio di una coalizione che non sarà più identificabile col governo in carica, a meno di non puntare sul suo fallimento. Ma in quel caso ci permettiamo di avvertire che si sarà costretti a scommettere più che altro sul caos che travolgerà tutti i partiti. Il fatto è che M5S sta trascinando nella sua crisi tutto il quadro politico.

Come si stava dicendo, ci finisce dentro la sinistra, PD in testa, che continua a non ragionare sulle opportunità che gli conferisce la nuova situazione: potrebbe davvero, approfittando di un serio lavoro a fianco di Draghi, rilanciarsi come partito cardine della raccolta del consenso necessario alla ricostruzione del paese, lasciando che i Cinque Stelle lo seguano se ne saranno capaci. Del resto Salvini quello sarebbe tentato di fare solo che gli manca il coraggio di esplicitare la scelta accettando di mettersi in contrasto con la Meloni, sicché anche a destra si continua a voler giocare con le vecchie carte.

Qualche consapevolezza della delicatezza del passaggio si inizia ad intravvedere dal momento che si fa filtrare che il grande appuntamento con le amministrative (test significativo: più di mille comuni comprese grandi città simbolo) potrebbe essere fatto slittare all’autunno. Ufficialmente per l’emergenza Covid, in parte anche nella speranza che intanto la situazione dei partiti si stabilizzi un po’ e si possa evitare che tutto si avvolga come scontro fra due ammucchiate, una a destra e una a sinistra, che servirebbero solo a preservare se non a rafforzare tutte le debolezze che affliggono le diverse componenti della politica.


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