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Lo Stretto di Messina

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“Guardatevi dai falsi profeti i quali vengono a voi in vesti da pecore, ma dentro son lupi rapaci. Voi li riconoscerete dai loro frutti”. Matteo riporta una raccomandazione di Cristo contenuta nel Vangelo da lui scritto. È una raccomandazione frequente ed è quella di guardarsi dai “cattivi” maestri che spesso viene riproposta da tanti educatori.

In questo caso il consiglio dei “cattivi” maestri è relativo a quel mantra del residuo fiscale, che verrebbe regalato ogni anno dalle regioni ricche a quelle più povere, rilanciato non solo da Andrea Giovanardi, ordinario di diritto tributario a Trento, ma anche da Carlo Cottarelli e da Gianpaolo Galli con il loro Osservatorio dei Conti Pubblici della Cattolica di Milano, università peraltro sostenuta oltre che con le risorse statali, anche con le raccolte di fondi fatte anche nelle chiese di tutto il Paese, ma che pare abbia intrapreso una campagna contro il Sud. Tale teorizzazione non poteva non avere conseguenze sulle richieste di nuovi equilibri economici tra le regioni del Nord e quelle del Sud.

E Maurizio Fugatti, Presidente della Provincia Autonoma di Trento, che chiede a Maria Stella Gelmini, Ministra per gli Affari Regionali, in sostituzione di Francesco Boccia, che ha incontrato a Roma, di sospendere il sostegno provinciale al risanamento del bilancio dello Stato previsto dal cosiddetto patto di garanzia (LEGGI) ne è una prova. Tale intervento vale circa 380 milioni ed è previsto in un’ottica perequativa, che sposti risorse dalle regioni più ricche a quelle con meno risorse. La sospensione del patto di garanzia viene giustificata con il momento particolare che vede diminuire le entrate fiscali, visto che la provincia trentina “ha bisogno di guardare al futuro in un ottica di sviluppo e che quindi servono investimenti per fare crescita”.

Tale atteggiamento legittima le richieste da parte di tutte le autonomie regionali di maggiori risorse, in un momento così difficile, che vede peraltro diminuire pesantemente le entrate fiscali. Ma che realtà, come le province autonome di Trento e di Bolzano, ma anche Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta, debbano invece avere trattamenti particolarmente vantaggiosi, non più giustificati ormai dalla loro passata posizione periferica, considerato che l’Unione Europea ha fatto venire meno le problematiche delle regioni di confine, è un fatto superato.

Forse le uniche regioni che giustificano ancora la loro specialità, che anche per loro va rivista visto il pessimo utilizzo che ne hanno fatto, sono rimaste Sardegna e Sicilia che continuano ad avere il problema della loro insularità, che per la Sicilia ha un costo che è stato calcolato dalla Regione in circa 6,5 miliardi l’anno, in assenza di ponte sullo stretto di Messina e di alta velocità ferroviaria.

Cioè in meno di due anni il ponte come infrastruttura si ripagherebbe da solo, se questi calcoli forniti dalla regione Sicilia sono corretti. Il tema che generalmente ritorna é quello se esista un residuo fiscale oppure è un’invenzione di alcune regioni che immaginano un assetto istituzionale molto diverso rispetto a quello che abbiamo. Sentire in questo caso il professore Sabino Cassese è interessante: “La richiesta di autonomia differenziata è partita col piede sbagliato, con il tema del residuo fiscale: dà a me le entrate percepite nella regione. Questo è un principio intrinsecamente secessionista. Pensi che il vero atto di fondazione del nuovo Stato italiano, nel 1861, fu l’accollo ad esso dei debiti degli Stati preunitari”.

Ed invece è il motivo dominante della richiesta che Bonaccini, in accordo con la destra leghista lombardo Veneta di Zaia e Fontana, ha continuato a sostenere, con la giustificazione che in realtà quello che loro chiedono non riguarda maggiori risorse, quanto invece la possibilità di gestire al meglio le risorse che lo Stato destina alle stesse regioni. Ma la richiesta di Fugatti fa capire quale invece è l’obiettivo.

Dietro questo approccio vi è una filosofia che non tiene conto del fatto che già i diritti di cittadinanza siano diversi nelle diverse realtà del Paese, in particolare, quelle relative alla sanità, alla formazione ed alle infrastrutturazione, considerato che le risorse sono state destinate in funzione della spesa storica e non dei livelli essenziali di prestazione. Adesso qualcuno comincia ad uscire allo scoperto in maniera meno subdola ma più aperta e la richiesta di Fugatti , Lega Nord, ne è una riprova.

Il nostro Paese ha invece bisogno di maggiore centralismo più che di maggiore federalismo ed i risultati, che la regione Lombardia sta avendo nella gestione della crisi sanitaria, compresa la vaccinazione lo dimostrano in maniera completa. C’è bisogno di una catena di comando ben precisa che il governo Draghi sta riportando in funzione con la nomina del generale Figliuolo per esempio e della valorizzazione della Protezione Civile. Ma certamente il passaggio fondamentale è quello di modificare il titolo quinto della Costituzione e le Autonomie regionali perché il vero problema che questo Paese si deve porre è quello della riunificazione economica, dopo quella politica del 1860, e certamente non può farlo con 20 Capetti.


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