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Giuseppe Conte

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TRA umori e malumori, talvolta teneri dissapori, la trattativa va avanti. Orazi e Curiazi dei Cinquestelle provano e riprovano ad acquisire per il prossimo futuro la spinta dell’astro nascente (o presunto tale), Giuseppe Conte, il “pezzo da novanta” che possa mascherare il robusto calo di consensi alle prossime elezioni.

Partita un po’ ardua, a vederla nei suoi termini nudi e crudi: si tratterebbe di assoldare una specie di CR7 (anzi, GC7) della politica, sfruttandone il “quid” di popolarità raggiunta, senza farsi annettere dal medesimo. Che, fino a un paio d’anni fa, sbarcava il lunario come docente in diritto, grazie ai buoni uffici dell’amico Alpa, nonché avvocato di controversie da risolvere lontano dagli uffici giudiziari.

IL TAVOLO DEI SETTE

I dioscuri della prima ora, Roberto Fico e Luigi Di Maio, come si sa, temono l’annichilimento da parte dell’ingombrante ex premier, e ricambiano cercando di affievolirne l’impatto devastante sui valori e sui voleri. Fino all’altra sera, se non ci fosse stata quella dell’approdo dell’Italia in finale agli Europei, buone notizie dal tavolo dei Sette non ne arrivavano.

STATO TOTALE

“Cauto ottimismo”, per non dire stallo totale. Telefonate, contatti, latente e condivisa tentazione di rinviare, raffreddare ancora gli animi, sedare e assopire, in attesa di uno “sblocco” definitivo che, come si sa, potrebbe arrivare solo da una ritrovata fiducia tra Grillo e l’ex premier. Al punto che alcuni, impazienti fedeli di Conte, già allertati il mercoledì sera della scorsa settimana per un annuncio di scissione bloccato in extremis (il dado doveva essere tratto giovedì scorso, con annuncio del nuovo partito nel pomeriggio), non escludevano il possibile verificarsi di un “incidente” che dovrebbe far saltare il banco tra il fine settimana e l’inizio della prossima.

A scanso di equivoci, perciò, mentre i suoi uomini perorano la causa del nuovo Statuto contiano versus il vecchio Non-Statuto grillino, Conte è corso a registrarsi un nuovo logo, personale come il partito che dovrebbe nascere. Invece delle stelle di cui nessuno ha mai saputo o ricordato i significati simbolici, alle prossime Politiche è perciò ancora possibile che gli elettori si ritrovino un semplice CON TE, con il nome dell’ex premier in bella vista, forse qualche stellina (nana rossa?) su fondo giallo tendente all’arancio e amen.

I SONDAGGI  

Gruzzolo di voti stimato dai sondaggisti compiacenti e vicini al mondo pidino che non vede l’ora di avere un alleato ascaro: il 15 per cento. Da avveduti calcoli interni, la stima di un partito contiano si aggira invece in una forbice tra l’8 e il 12: più o meno quanto è riuscito a raggranellare il professor Mario Monti dopo lo sfortunato soggiorno a Palazzo Chigi. E senza contare il dispiego di armi tattiche da parte dei grillini rimasti dalla parte del fondatore, che con il recupero di Di Battista e altri “movimentisti”, aspirerebbero pure loro ad arrivare alla doppia cifra.

Con una formazione nuova di zecca alle porte, semplificazione estrema del grillismo “sotto vuoto spinto” di Conte, è chiaro come e perché la trattativa stenti a decollare. Anche la partita pre-elettorale si fa ancora più difficile per il grosso delle truppe parlamentari, sempre più combattute tra la voglia di restare nella scatola di tonno (possibilmente a vita) e quella di non tornarsene (mai più) a casa.

Qui emerge uno dei punti di maggior discussione tra i contiani del comitato (Patuanelli, Beghin, Licheri e Crimi) e i grillini antemarcia (Di Maio, Fico e Crippa) che attendeno il miracolo della (sempre possibile) riappacificazione tra Beppe l’Elevato e Giuseppi lo Scalatore. Si tratta del nodo dei due mandati, regola del tutto assente nel nuovo Statuto del partito sognato da Conte. L’idea della deroga ad personam cozza non poco con il principio cardine dell’uno-vale-uno, oltre che con il buonsenso.

E se Beppe ha acconsentito a ridiscuterla, Conte sa che il suo richiamo a deputati e senatori con una sirena così seducente difficilmente andrebbe disatteso. Questa è una delle sue carte migliori: una specie di biglietto di andata e ritorno – in Parlamento – che farebbe felici il 90 per cento dei cosiddetti (un tempo) “portavoce”.

CHI CI METTE I SOLDI

Anche il prezzo sarebbe modico, nel caso di un partito su misura dell’ex premier: si tratterebbe di versare nelle sue casse vuote 2500 euro al mese da qui a fine legislatura. Quindi, se da un lato, un Conte che diventi padrone del M5S potrebbe disporre del conto bancario con una giacenza di 6/7 milioni di euro (conto intestato a Di Maio e agli ex capigruppo di Camera e Senato), un partito di Conte avrebbe una dote di partenza pari a 50mila euro a testa moltiplicato i parlamentari che lo seguiranno.

Senza contare la calamita per molti tra “ex” e altri transfughi che si annidano nei due gruppi del Misto, e volendosi tenere bassi, cioè sui due terzi dell’attuale consistenza dei M5S, stiamo parlando di circa 156 parlamentari attualmente in carica. Il totale fa 7.800.000. A conti fatti, l’”avvocato del popolo” sembra essere piuttosto ferrato in ragioneria. Più che Conte, un eccellente Contabile, diciamo.


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