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Un'aula di tribunale

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Si è trattato a oltranza, fino a cancellare la cabina di regia del Consiglio dei Ministri, ma concedere ai superstiti del vecchio grillismo di far saltare la riforma del processo penale non era proprio possibile.

Non solo perché la richiesta finiva in un giorno in cui la UE certificava il cattivo funzionamento della giustizia italiana rispetto a quella dei nostri principali partner, ma soprattutto perché una volta ammesso che le pruderie del vecchio grillismo, peraltro circoscritte ormai ad un nucleo che assomiglia ai soldati giapponesi che in una isoletta del Pacifico non si rendono conto che la guerra è finita, avrebbe voluto dire dar vita ad un precedente in cui si sarebbero infilati a turno tutti gli altri partiti.

Questo per non parlare della figuraccia con la UE, dove si sarebbe fatta molta fatica a capire le ragioni di un accanimento dell’ex ministro Bonafede e dei suoi pretoriani (che stanno soprattutto fuori dal parlamento) nel difendere norme che non trovano uno straccio di difensore qualificato. Ovvio che Draghi questo non se lo può proprio permettere, tanto in assoluto rispetto alla sua posizione, quanto in relativo avendo nominato Guardasigilli non un personaggio qualunque ma l’ex presidente della Corte Costituzionale.

Certamente né il premier, né la ministro sono interessati a gestire il delicato passaggio come uno schiaffo in faccia a chi li ha preceduti, ma c’è il limite della decenza nelle posizioni da prendere. Non crediamo che i Cinque Stelle, vista anche la loro attuale situazione, vogliano spingersi a far saltare il banco: sarebbe un gesto irresponsabile che porterebbe grave pregiudizio al paese e poco o nullo vantaggio a loro, salvo gli osanna di qualche limitato fan-club. Grillo non ci pare su queste posizioni, di sicuro non lo sono né Fico, né Di Maio, Conte è amletico per i suoi legami con Bonafede e per un qualche gusto a vedere il suo successore in difficoltà. Ma sinora è stato un uomo razionale, sarebbe inspiegabile si buttasse adesso in una avventura senza senso.

E’ dunque atteso che la riforma Cartabia proceda, con qualche concessione di facciata ai vari lobbismi (non ci sono solo quelli a Cinque Stelle), perché si tratta di una partita da cui si deve uscire vincitori. A turbare le acque in cui naviga la maggioranza di governo c’è già l’appuntamento del 13 luglio sul DDL Zan e basta e avanza. Coi referendum sulla Giustizia promossi da radicali e Lega non c’è davvero spazio per giochetti di bandiera. Il PD lo sa e si è schierato con Cartabia, adesso deve far capire alla componente riottosa dei Cinque Stelle che sul tema della riforma della giustizia si finisce per far saltare tutta la famosa “alleanza strategica”. Poiché siamo convinti che anche in M5S i pasdaran della prescrizione sono una minoranza, neppure politicamente molto significativa, non ci sembra un’impresa difficile.

In parlamento quando si conducono operazioni ragionevoli si può anche arrivare a dei risultati. E’ il caso della legge costituzionale giusto ora approvata in ultima lettura che parifica il requisito di elettorato attivo per il Senato a quello per la Camera: 18 anni in entrambi i casi.

Leggiamo da qualche parte che sulla legge incomberebbe l’incognita del referendum confermativo non essendo stata approvata coi due terzi dei voti. Francamente ci pare lunare che si immagini che un numero cospicuo di cittadini sottoscrivano per abrogare la nuova norma che toglie una barriera a cui oggi non crede più nessuno, cioè che a 25 anni si acquisisca automaticamente una maturità maggiore che a 18, per cui la seconda Camera sarebbe espressione di un elettorato più “riflessivo”.

Una ragione “politica” dell’omogeneizzazione dei due elettorati è evitare che la differenza di ammessi al voto per il Senato (si stimano in circa quattro milioni gli elettori fra i 18 e i 25 anni) porti a due assemblee con maggioranze politiche diverse, il che ha comportato non pochi casi di diverso comportamento in materia di fiducia al governo (il diverso comportamento nel valutare le proposte di legge è fisiologico del bicameralismo). Non sappiamo se davvero questa omogeneizzazione si otterrà con la semplice sovrapposizione dei due elettorati, perché nel caso del Senato conta anche un sistema un po’ diverso di organizzare i collegi e di conseguenza di contare i voti.

Peraltro faremmo sommessamente notare che ormai, con questi partiti “liquidi” dove i cambi di posizionamento vanno quasi a ruota libera e la vecchia “disciplina di gruppo” è piuttosto incerta, è difficile pensare che la distribuzione elettorale dei consensi si mantenga stabile nel corso della legislatura e garantisca un eguale comportamento dei gruppi di Camera e Senato. Ma questo si vedrà e molto dipenderà se davvero la classe politica sarà capace di mettere mano a regolamenti parlamentari che favoriscono quella che viene volgarmente definita come “la transumanza politica”.

Sarebbe bene che i parlamentari, come sono riusciti a gestire con successo una operazione parlamentare trasversale sul tema della riforma del requisito per divenire elettori del Senato (l’ha giustamente rivendicato in una dichiarazione l’on. Ceccanti), si impegnassero adesso a dare una forma razionale al nostro sistema bicamerale, che nella forma attuale non ha molto significato e ne avrà ancora meno con la riduzione del numero dei parlamentari.

Ma questa appare al momento una partita più che difficile.


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