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L’ITALIA deve tornare a fare i compiti a casa perché ce lo chiede l’Europa. Si tratta dei luoghi comuni che negli ultimi dieci anni sono stati ampiamente utilizzati per costruire la narrazione anti-Ue. Stavolta, però, è tutto diverso. Difficile, infatti, dare fiato alle voci della critica considerando passare gli esami darà accesso ai 191 miliardi del Recovery Fund. La tabella di marcia è molto rigida. Entro l’anno l’Italia dovrà approvare la riforma della giustizia, la riforma degli appalti pubblici, l’estensione del superbonus, spending review e altre iniziative sul turismo. In sostanza, 20 riforme e 30 piani di investimento, calcola la Commissione Europea, ma non la riforma fiscale sulla quale “a Roma c’è ancora discussione”.

È con questa prima griglia di compiti da fare che ieri il piano italiano di ripresa e resilienza ha ottenuto l’ok di Bruxelles. I primi 25 miliardi arriveranno ad agosto. Soldi che devono essere spesi tutti e spesi bene in maniera efficiente, efficace e soprattutto con onestà. Il Next Generation Eu è il pacchetto di investimenti più consistente d’Europa, più del piano Marshall. La riforma della giustizia, che in questo momento appare molto divisiva è contenuta nelle raccomandazioni di Bruxelles per l’Italia del 2019, nonché in quelle precedenti. È una vecchia richiesta mai rispettata. Si tratta di velocizzare i tempi di esame delle cause, roba per cui verranno “assunte 25mila persone nei tribunali”, specificano da Bruxelles.

Ma «si tratta anche di una riforma olistica», nel senso che «non si risolverà adottando solo una legge», specificano le fonti europee, bensì «continuando a fare investimenti su tecnologia e formazione da qui al 2026», il termine entro cui gli Stati membri dovranno mettere a frutto le risorse del Recovery Fund.

Per ora, la fiducia nella riuscita del piano italiano è ampia. «Lo abbiamo approvato in meno di due mesi rispetto alla data di presentazione» a fine aprile, dicono fonti della Commissione, «perché c’è stata una buona collaborazione con le autorità italiane e perché questo è un buon Pnrr». Se il piano approvato sarà messo in pratica secondo le scadenze previste, potrà produrre 240mila posti di lavoro entro il 2026, secondo le stime della Commissione. E potrebbe essere la molla per far aumentare il pil italiano di 17 punti percentuali tra 20 anni. Il Pnrr italiano riserva il 37 per cento degli investimenti alla transizione verde, esattamente quanto previsto dalle regole del Next Generation Eu.

E garantisce il 25 per cento delle risorse al digitale, superando la soglia minima prevista del 20 per cento. In entrambi i settori, pilastri fondamentali del Next Generation Eu, ci sono state delle modifiche nel corso delle interlocuzioni tra Roma e Bruxelles. Per esempio, la Commissione ha chiesto di inserire un capitolo sulle biodiversità, che non era presente nella versione iniziale del piano. Adesso invece, alla difesa delle risorse marine, alla forestazione e anche il ripristino di alcune zone del Po, è dedicato un investimento di 1 miliardo e 200 milioni di euro.

Al contrario, la Commissione Ue ha cassato dalla versione originale del Pnrr una serie di misure che «non consideravamo veramente digitali e investimenti sui quali non abbiamo ottenuto le rassicurazioni necessarie che non avrebbero rispettato il principio del rispetto all’ambiente». Per esempio, «il rinnovamento del materiale rotabile dei treni, non era sempre chiaro che si parlasse di veicoli a bassa emissione di co2».

L’Italia ha però ottenuto uno “sconto” in termini di scadenze sulla riforma fiscale. «Ridurre l’onere fiscale è obiettivo compreso nel piano – precisano dalla Commissione – il governo ha indicato l’intenzione di varare una riforma della tassa sul reddito individuale nel 2021 ma sono in corso discussioni in Parlamento. E visto che la riforma è in corso di progettazione, non ci sono né target, né scadenze ma un riferimento generale».


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