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Mario Draghi e Ursula von der Leyen

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CERTO, il confronto è imbarazzate: a tratti perfino inquietante. Appena un pugno di ore dal via libera del Consiglio Ecofin Ue al Pnrr, documento fondamentale per accedere alle risorse europee, e i partiti, di lotta e di governo indistintamente, litigano per i posti di consigliere Rai con sgambetti, minacce e annunci di ritorsioni.

Il presidente del Consiglio assieme alla Guardasigilli Marta Cartabia si reca nel carcere di Santa Maria Capua Vetere dove sono stati commessi inammissibili abusi nei riguardi dei detenuti, e in contemporanea al Senato le forze politiche affrontano un tema etico e di coscienza come la legge Zan con pernacchie, fischietti e perepepè. Il capo del governo, sempre dallo stesso carcere, riannoda i fili di uno Stato di diritto ammonendo che deve essere unito e consapevole nel fare in modo che ogni sua struttura, punitiva ancorché rieducativa, respiri democrazia, e le forze politiche, assieme ai governatori, alimentano un falò di diatribe scontrandosi sul fatto se il green pass debba valere o no sui ristoranti e nei bar.

Sia chiaro: niente demagogia, niente cadute retoriche. Ogni istituzione – Parlamento, governo, Regioni – ha il suo ruolo e lo esercita secondo quel che ritiene giusto in rappresentanza dei cittadini. Tuttavia è impossibile (e sarebbe anche fuorviante) non vedere come la cura Draghi, tra vaccinazioni, Recovery e ripresa economica,  se sta facendo bene al Paese (al netto di valutazioni critiche ed incertezze), non produce effetti altrettanti positivi sulle forze politiche.

Le quali, al contrario, fanno sfoggio di responsabilità nel sostenere l’azione di palazzo Chigi dando l’impressione di farlo più per scaricarsi la coscienza che per convinzione; ed appena lasciate libere corrano a riprendere il vecchio copione della guerriglia continua e obbligata, ancorché inconcludente. È una condizione che nuoce a tutti e non aiuta nessuno. Non serve al capo del governo che avrebbe al contrario estremo bisogno di interlocutori assennati e responsabili, protesi a confrontarsi e perché no? magari scontrarsi sulle cose da fare per rimettere in moto l’Italia, senza eccessivamente curarsi del proprio ombelico elettorale. E neppure aiuta le forze politiche che potrebbero/dovrebbero usare questo tempo di obbligata sospensione delle logiche di schieramento per rinnovarsi, meglio ancora rigenerarsi e prepararsi a prendersi sulle proprie spalle, a seconda dei rapporti di forza che stabiliranno gli elettori, le sorti del Paese.

Macché. Niente è meglio di un concerto di fibrillazioni; niente esalta gli animal spirits di leader o presunti tali, più di una divaricazione; niente funziona come elisir più di una polemica ultra accentuata. Tanto gli italiani hanno la memoria corta e il giorno dopo dimenticano (sicuro?) e dunque si può ricominciare daccapo. In questo modo, seguendo un simile immutabile canovaccio, lo iato tra Draghi e i partiti che pure lo sostengono all’interno della strana e larga maggioranza, è destinato ad allargarsi: e non è affatto un bene. Non è per niente un bene la sensazione che si conferma giorno dopo giorno per cui laddove SuperMario per forza di cose è a bordo campo, come avviene per la legge Zan, privi di uno straccio di regia i partiti mettano in mostra un ventaglio di strumentalizzazioni intinte nell’ideologia che produce confusione, arruola pasradan, impedisce di arrivare a soluzioni anche solo in parte condivise. Insomma uccide la politica.

A chi giovi tutto questo non si capisce. Draghi è stato scelto dal presidente Mattarella perché i partiti si erano schiantati contro un muro, sommersi dalle macerie della fine del Conte bis. La speranza era che avessero capito la lezione e potessero ritrovare, mettendo ciascuno a terra le rispettive e peraltro spuntate armi, un filo di riguardo per l’interesse nazionale. Non sembra che le cose stiano marciando in questa direzione.

È per questo che mette i brividi immaginare cosa possa succedere tra un paio di settimane, quando entreremo nel cosiddetto semestre bianco e sarà impossibile sciogliere le Camere. O più ancora quando all’inizio del prossimo anno i Grandi Elettori si riuniranno per stabilire chi debba succedere all’attuale capo dello Stato. Se si arriva a simili appuntamenti in ordine sparso, senza che nessuno di prenda la briga di tessere almeno una bava di ragno di dialogo, il pericolo è che si ritorni al collasso che costrinse Giorgio Napolitano ad accettare la ricandidatura.

E se come tutto lascia presupporre Mattarella rifiuterà, allora davvero potrebbe aprirsi un buco nero di enormi proporzioni centro delle istituzioni. È la logica del tanto peggio tanto meglio che sciaguratamente più d’uno sembra voler cavalcare. Una logica devastante. E soprattutto autolesionista.


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