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Giuseppe Conte

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SIAMO ancora bloccati sulla riforma Cartabia, ma qualche passo avanti sembra delinearsi. Nulla che faccia preludere ad una “rivincita” di Bonafede e soci, ma piuttosto un gesto di comprensione verso coloro che, alcuni anche in buona fede, segnalano difficoltà a rispettare quanto previsto in carenza di personale e strutture.

Dunque la nuova normativa sarebbe operante dal 2024 dando tempo di realizzare gli adeguamenti necessari (anche grazie ai finanziamenti previsti nel PNRR). Perché si tratta non di un cedimento, ma della vittoria di un principio? Speriamo che gli altri partiti lo capiscano e non si mettano a fare barricate inutili che indebolirebbero la nostra già non facile situazione.

Il punto essenziale infatti è stabilire un meccanismo che finalmente costringa la macchina giudiziaria ad operare nei tempi richiesti dalla giustizia e non dalle convenienze dei magistrati (spesso gli inquirenti, ma anche i giudicanti). Quando quella tempistica sarà codificata nella legge, è ovvio che diventerà un obbligo morale per il sistema adeguarvisi il più presto possibile. Del resto, come ha dimostrato numeri alla mano il deputato Costa di Azione, in un buon numero di distretti giudiziari le tempistiche già rispettano quanto previsto dalla riforma Cartabia. Ciò fa ritenere che dove ciò non avviene dipenda o da insufficiente dotazione di personale e strumentazione o da cattiva organizzazione per non dire in qualche caso dal prendersela comoda da parte di qualche magistrato.

Nel primo caso, non appena il governo doterà le sedi carenti delle risorse necessarie verrà meno la ragione di non rispettare le tempistiche previste anche se non ancora obbligatorie. Nel secondo caso spetterà al CSM mettere ordine nel sistema di organizzazione, perché nessuno può essere considerato insindacabile. Dunque una volta approvata la “filosofia” della riforma Cartabia il passo avanti sarà stato fatto, il giustizialismo infantile sarà stato battuto, e dipenderà dalla volontà dei diversi soggetti renderla operante (ma quella è una variabile che comunque esiste, specie in un sistema come il nostro sfilacciato e con carenza di punti di riferimento accettati come autorevoli).

Naturalmente le difficoltà del governo non si esauriranno così, perché c’è da vedere se il grillismo si arrenderà all’inevitabile sotto la leadership di Conte. A lui però viene data, sembra almeno, un’arma ulteriore per convincere i riottosi. Si sta infatti lasciando circolare l’ipotesi che in caso venisse meno una componente nella coalizione di governo, ove con questo non venisse meno la maggioranza in parlamento il governo Draghi potrebbe andare avanti. La ratio sarebbe nel fatto che essendo impossibile sciogliere le Camere durante il semestre bianco, è preclusa la via della verifica elettorale sulla persistenza o meno del consenso ai vari partiti.

L’interpretazione è radicale, ma non ci pare infondata. Vanno viste però le conseguenze, che non sono così banali come potrebbero sembrare a prima vista, perché non è che tutto continuerebbe come prima a prescindere. Nel caso i Cinque Stelle si sfilassero dal sostegno al governo attuale, diventerebbe infatti insostenibile che mantengano i loro ministri. Stiamo parlando di Patuanelli, Di Maio, D’Incà, Dadone e sorvoliamo sui viceministri e sottosegretari (alcuni anche in posti piuttosto rilevanti tipo Sileri e Castelli). Queste posizioni non potrebbero essere conservate, a meno che queste persone non facessero quella “scissione” di M5S contro cui si sono battuti. Rimpiazzarli significherebbe fra l’altro redistribuire i posti fra i superstiti partiti della coalizione, e si può immaginare cosa succederebbe non trattandosi di posizioni secondarie (per dire: a chi toccherebbero gli Esteri?).

Come si può vedere non si tratta di problemi di scarso peso e tutto fa pensare che Conte e i Cinque Stelle non possano avviarsi allegramente a scindere la propria partecipazione dalla coalizione che sostiene il governo. Una via d’uscita per loro non potrebbe essere l’astensione, specie se Draghi, per evitare scossoni in un parlamento balcanizzato, decidesse di porre la questione di fiducia, così come da più parti si sta ipotizzando.

E’ evidente che diventa un po’ arduo affermare che si sostiene un governo mettendosi alla finestra su una questione centrale su cui viene richiesta la fiducia. La disinvoltura interpretativa di molti politici attuali potrebbe anche non ritirarsi davanti a questa acrobazia, ma ci sembra difficile che Draghi possa accettarla: per dignità personale e perché comunque si troverebbe a collaborare nell’esecutivo con una forza che ha dato prova di tanta irresponsabilità.

Molto peserà su come andrà a finire l’atteggiamento degli altri partiti della coalizione. Alcuni saranno tentati di approfittare dell’impasse pentastellato per ridimensionare il quadro politico complessivo, ma affronterebbero il rischio di spingere verso una guerriglia generalizzata che certo non sarebbe una buona condizione per gestire un momento che rimane difficile. Altri, in specie il PD, saranno messi davanti al dilemma di regolare la propria posizione verso i Cinque Stelle, ma ci pare complicato che in un caso come quello ipotizzato possano cavarsela facendo finta che tutto può aggiustarsi. Andiamo verso un giro di boa, non è conveniente nasconderselo.


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