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Una riunione del Consiglio dei Ministri presieduta da Draghi

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Nei partiti l’ansia di piantare bandierine porta solo a complicare il rapporto fra le sedi decisionali e la pubblica opinione. Conte non molla nel chiedere che si tenga conto delle esigenze pentastellate di vedersi riconosciuto qualche diritto di veto e il risultato è che anche Salvini ottiene il suo: niente obbligo vaccinale nelle scuole, né per il personale, né per gli studenti. Naturalmente è tutto provvisorio in attesa di esaminare i dati: modesta foglia di fico, perché potevano saperlo da prima.

Sempre più si palesa che quella che appariva come la forza dell’esperimento Draghi contiene anche alcune debolezze: alla fine tutto deve passare per il parlamento e lì a contare sono i partiti nella loro ricerca di voti, non una opinione pubblica in cui sette italiani ogni dieci vorrebbero affidarsi con fiducia al premier e almeno il 50% non ha obiezioni all’obbligo vaccinale.

Ovviamente le forze politiche sono condizionate dalla parte che si trovano assegnata in quella grande commedia che sta diventando la nostra politica, per di più molto condizionata dal timore dei guru dei talk show (basta vedere il ministro Speranza che non riesce a giudicare più di “infelice” l’uscita del direttore del “Fatto Quotidiano” che insulta il presidente del governo di cui fa parte e che lo ha difeso varie volte). Comprensibile dunque che Giuseppe Conte che deve far approvare con la più larga maggioranza possibile il suo statuto per M5S e poi la sua elevazione a presidente debba fare i conti con i voti della componente più intransigente e barricadiera del grillismo.

E’ la conseguenza naturale di un meccanismo di tipo plebiscitario come quello immaginato per la nuova versione del movimento: siccome nulla viene prodotto in un confronto, non si può vincere ai punti, bisogna avere una larga incoronazione e per di più evitare il boomerang della bassa partecipazione. Basta questo per legittimare una certa tolleranza verso delle impennate, in verità abbastanza modeste come toni e portata? Gli alleati (PD e LeU) pensano di sì, ma sottovalutano le ricadute che inevitabilmente ci sono dando spazio a comportamenti che poi non si riusciranno più ad arginare.

Intanto Draghi sceglie la strategia del carciofo, cioè togliere le foglie una ad una. Così intanto si vede di superare lo scoglio della giustizia, che è essenziale per la gestione del PNRR, poi si passerà a scuola e trasporti, che su quell’ambito non incidono, anche se peseranno e non poco su quanto accadrà in autunno. In Germania si parla già di quarta ondata dell’epidemia e segnali contraddittori arrivano da altri contesti. La tenuta della psicologia sociale del nostro paese dipenderà molto dalla possibilità di avere un rientro in presenza a scuola senza che sia un episodio effimero e dalla sicurezza nella circolazione delle persone (altro tema delicato visto il tasso di mobilità che comporta la nostra vita quotidiana).

Il successo della Lega nell’ottenere il rinvio delle decisioni sull’obbligo vaccinale a scuola e nei trasporti si sposa con il crescere di una campagna di opinione fatta da persone che vogliono affermare la superiorità delle loro capacità critiche. Speriamo non finisca come al don Ferrante del Manzoni che avendo stabilito che la peste non essendo né sostanza, né accidente essa era filosoficamente inesistente, tuttavia ne morì. Battuta a parte, è difficile governare la reazione ad una epidemia mondiale, per tanti versi ancora non perfettamente conosciuta, dovendo far conto su una compagine politica che si rifiuta di costruire un blocco comunicativo che indirizzi in un senso minimamente uniforme la pubblica opinione.

Non c’è da attendersi che queste difficoltà vadano scemando. Purtroppo la grande popolarità di Draghi non costringe i partiti a riflettere in quanto egli non sembra in condizione di sfidarli sul terreno elettorale. Oggi perché di elezioni non si può parlare essendo in semestre bianco e perché nel test delle amministrative il tecnico-premier non è presente e dunque gli elettori dovranno scegliere fra i partiti che si contrappongono nel suo governo (nessuno dei quali può presumere di presentarsi come il partito di Draghi). Domani perché i partiti non si creano dal nulla in una notte, a meno di non disporre di una potenza mediatica molto particolare come accadde a Berlusconi, ma l’ex presidente della BCE non è uomo da avventurismi di quel tipo.

E’ per questa ragione che i partiti se la giocano fra loro e ciò spiega il loro posizionarsi nel gran teatro della comunicazione politica, con maggiore o minore capacità di incidere a seconda dei personaggi a cui si affidano. Si potrebbe dire che è meglio così, visto che intanto il timoniere Draghi può condurre la nave con tutta la sua perizia, non fosse che i movimenti della sua ciurma, per insistere in questa metafora marinara, scombinano l’equilibrio della nave sottoponendola al rischio di ribaltarsi.

Chiudere alcune partite prima dell’autunno è importante, ma non può essere fatto a qualunque costo, perché le conseguenze di come si troveranno i compromessi si faranno sentire in maniera inevitabile su quel che si dovrà affrontare a partire da ottobre. Se si riescono ad avere davvero momenti che ricostruiscano una ragionevole coesione, potremo presumibilmente affrontare quella ripresa dell’economia (e dunque un miglioramento della coesione sociale) che è previsto. In caso contrario il peso di proseguire nella ricerca di pastrocchi che accontentino un po’ tutti non ci consentirà di farlo.


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