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Vincenzo De Luca e Luca Zaia insieme ad Emiliano e a Fontana

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NON SI diventa governatore delle Regioni- Banana per caso. C’è tutta una procedura. E se è difficile venire eletti, ottenere il via libera dai partiti, stringere accordi e coalizzarsi persino con il “nemico”, una volta eletti è molto più facile restare incollati alla poltrona anche per un ventennio.

Tutto risale alla legge n° 165 del 2 luglio 2004 quando il Parlamento a maggioranza berlusconiana approvò le disposizioni di attuazione dell’articolo 122 1°comma della Costituzione “concernente il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e incompatibilità dei presidenti delle giunte regionali e dei consiglieri regionali”. Si stabilivano i principi fondamentali da seguire nei casi di ineleggibilità e incompatibilità lasciando una finestra interpretativa. La legge c’era ma sarebbe toccato poi alle regioni recepirla nel loro Statuto e stabilire i casi di incandidabilità dopo il secondo mandato.

Le regioni lo hanno fatto prendendosela molto comoda. Dieci o 15 anni dopo. E alcune furbescamente lo hanno fatto riazzerando i precedenti mandati. Chi aveva già governato per due stagioni avrebbe potuto così ricandidarsi per altre due legislature. Una sorta di lascia o raddoppia che ha consentito al governatore Luca Zaia di restare in sella per un terzo mandato visto che in Veneto la legge è stata adottata solo nel 2018 dopo due revisioni dello Statuto. E anche nel Lazio in teoria potrebbe accadere la stessa cosa dal momento che lo Statuto è stato modificato solo 3 anni fa.

Ma torniamo a Zaia, che non a caso lo chiamano “il doge”, il supremo magistrato dei destini veneti. Fa e disfà le leggi nel suo territorio come al tempo delle Repubbliche marinare. Si è inventato la legge ad personam, ha fatto scrivere nella legge regionale che il limite dei due mandati scatta a partire “dall’entrata in vigore delle presente legge”. Zaia ha percorso una strada già battuta dai suoi predecessori, imitato nelle Marche da Gian Marco Spacca e nel Molise da Michele Iorio. Governatori da triplete.

LA MANDRAKATA

Ricapitoliamo. L’articolo 122 primo comma della nostra Costituzione ha lasciato ai consigli regionali potestà legislativa in materia di incandidabilità. Di fatto il presidente della Giunta, eletto a suffragio universale e diretto, nomina e revoca i componenti del governo regionale e se vuole, a suo piacimento, può prolungarsi il mandato modificando lo Statuto ogni qual volta ne avverta la necessità. L’articolo 122 non ha chiarito se una volta recepita la norma, le regioni dovessero applicarla retroattivamente per i precedenti mandati o se invece riguardasse solo i mandati successivi. Ed è così che Luca Zaia, con quella che alcuni definirebbero una mandrakata, ha potuto modificare lo Statuto della Regione veneto nel 2018 e azzerare il suo personale contachilometri. Un esempio per tutti gli altri che infatti lo hanno seguito a ruota.

LO SCERIFFO DE LUCA

Primo fra tutti si appresta a farlo il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca. Non appagato dai due mandati, e dopo essere stato to il sindaco di Salerno per una quindicina di anni, vorrebbe alzare il tetto e riappuntarsi al petto la stella da sceriffo. A quanto pare, infatti, l’ipertrofico governatore avrebbe dato disposizione ai suoi di predisporre una modifica alla legge regionale facendo suo il lodo-Zaia. Una risposta a chi vorrebbe pre-pensionarlo. Sulla stessa linea si muove il presidente della Puglia, Michele Emiliano. Nessuno dei presidenti insomma è disposto al passo indietro. Del resto vi pare il momento? proprio ora che stanno per arrivare i fondi del Recovery plan?

I MAESTRI DI ZAIA

Prendersela con il solo Zaia non sarebbe corretto né esatto. Perché così fan tutti. Destra, sinistra, centro. La medesima questione interpretativa si pose nel 1995 per il vecio Galan, il suo maestro, sempre in Veneto. Per Formigoni, per 18 anni presidente del Pirellone in Lombardia e nel 2010 per Vasco Errani (Emilia Romagna). Eppure a leggere con attenzione l’articolo 122 il divieto del terzo mandato sembra scontato, non suscettibile di interpretazioni. Possono le regioni rinviare ad libitum l’applicazione di un principio dettato dalla nostra Costituzione? Il caso non poteva non finire in Tribunale. Il Consiglio dei ministri che impugna qualsiasi cosa ingaggiando con le regioni un contenzioso continuo, in questo caso non ha opposto alcuna resistenza. Nessuna sentenza è riuscita finora a sbarrare la strada ai governatori decisi a giocarsi dopo i 90 minuti regolamentari anche i supplementari e non è detto che si andrà pr qualcuno ai calci di rigore in caso di quarto o quinto mandato.

L’auto-applicazione delle norma non vale solo per il presidente. E’ un metodo collaudato. Vale anche per i consiglieri. In Puglia i capigruppo di tutte le liste hanno predisposto un emendamento che abolisce la retroattività per i tagli alle indennità di fine mandato imposti dall’allora presidente Niky Vendola. Un cadeau da circa 7000 euro lordi l’anno. Non tantissimi ma meglio di niente, conta il principio, l’avvertimento: “non toccateci lo stipendio. Tra i firmatari di tutte le liste e i partiti c’è Ignazio Zullo (Fdi) consigliere regionale da 16 anni. Ininterrottamente. Nel Lazio la maggioranza di Nicola Zingaretti, sostenuta dal M5S ha fatto, se possibile, anche di peggio: ha cancellato gli effetti di una legge regionale del 2019 che aveva tagliato del 35% il vitalizio a circa 250 ex consiglieri.

E’ successo nei giorni in cui il sito della regione veniva aggredito dagli hacker, nel silenzio telematico. Avrebbe comportato un risparmio per la casse della Pisana di circa 6 milioni. Primo firmatario è il vicepresidente della Giunta Daniele Leonori, (pd) originario di Zagarolo, il paesino laziale dove Ciccio e Franco Ingrassia ambientarono “l’Ultimo tango”. E il balletto del governo fai-da-te continua anche In Trentino-Alto Adige dove i consiglieri di Svp e Lega hanno pensato bene di aumentarsi lo stipendio di 600 euro al mese. Guadagnavano già 9.800 euro ma bisognava adeguarsi in fretta agli indici Istat. Pasti e pernottamenti ovviamente a parte.


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