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Un asilo nido

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Molti Comuni, quelli in pre-dissesto o in dissesto, quasi tutti al Sud, o quelli più piccoli, non hanno nemmeno presentato il progetto: sapevano di essere “perdenti” in partenza perché non avrebbero potuto garantire il cofinanziamento. Alla pari, altri sindaci, non avendo asili nido e scuole dell’infanzia sul proprio territorio, non hanno partecipato al bando del Miur per la messa in sicurezza, la ristrutturazione, la riqualificazione, la riconversione, la costruzione di edifici per asili nido e scuole dell’infanzia perché i criteri di assegnazione dei punteggi, paradossalmente, svantaggiavano proprio i centri come meno strutture.

E’ l’effetto “patatrac” dell’Avviso pubblico del Miur che aveva la scopo annunciato di voler potenziare i servizi per l’infanzia in quei territori più poveri e sguarniti ma che, invece, ha ottenuto l’effetto contrario per colpa di regole non proprio in linea con gli intenti politici. Ricostruiamo quanto successo: lo scorso marzo è stato emanato un Avviso pubblico congiunto dal Miur e dal ministero dell’Interno, in collaborazione con il ministero dell’Economia e delle Finanze e con il dipartimento per le politiche della Famiglia.

Un bando destinato ai Comuni per l’assegnazione di risorse per asili nido (0-3 anni) e scuole per l’infanzia (3-5 anni). L’avviso si è chiuso pochi giorni fa e sono stati ammessi al finanziamento, in prima battuta, 453 progetti; il Miur ha fatto sapere che i Comuni del Sud sono quelli più “premiati”, perché a loro andrà il 54,4% delle risorse stanziate. In realtà, il 54,4% è riferito solamente ai primi 700 milioni, ma il bando verrà finanziato anche con i fondi del Pnrr.

I progetti candidati hanno un valore complessivo di circa 2,3 miliardi, di cui solo poco meno di un miliardo, per la precisione il 42,6%, riguarda progetti presentati da Enti locali del Mezzogiorno. Quindi, quasi il 60% delle risorse totali prenderanno la strada del Centro-Nord. Questo non per “pigrizia” dei sindaci del Sud che non hanno volutamente presentato istanze, ma per criteri di valutazione dei progetti che hanno finito per svantaggiare i territori più poveri, i Comuni più piccoli e le aree a rischio spopolamento, senza creare alcun favore, invece, nei confronti di quei paesi in cui nessun asilo nido è presente.

Infatti, i criteri di valutazione più impattanti erano sostanzialmente tre: sono stati assegnati sino a 10 punti per la capacità dei Comuni di cofinanziamento con mezzi propri; solo 3 punti massimo, invece, sono stati dati a quei territori che non hanno strutture; infine, sono stati conferiti sino a 20 punti per numero di residenti nelle fasce di età 0-3 anni e 3-6 anni. Evidente, quindi, che l’Avviso ha finito per agevolare soprattutto le città più grandi e le aree non a rischio spopolamento e ha sfavorito i Comuni con bilanci “ristretti” o addirittura in pre dissesto.

Qualche Ente avrebbe potuto ottenere un mutuo trovandosi già con bilanci in profondo rosso? Nessuno. Immaginate di avere già un debito importante da pagare e di presentarvi in banca senza garanzie, il risultato è scontato. L’Avviso, quindi, ha finito per tradire la sua stessa finalità: non ha aiutato i Comuni con zero o pochissime strutture; non ha dato supporto agli Enti locali in difficoltà o in crisi e senza un centesimo da spendere, quindi quelli più poveri; non ha fornito sostegno di certo ai centri più piccoli e a grosso rischio spopolamento, quelli che vedono ogni anno partire i propri giovani.

Ricordiamo che al 31 dicembre 2020 i Comuni italiani in dissesto risultano essere 683, secondo il rapporto Ca’ Foscari basato su dati del Viminale.
A questi, però, si aggiungono altri 400 che si trovano ad affrontare una fase di “pre-dissesto” o “riequilibrio”. In Italia, quindi, è in condizione di dissesto e pre-dissesto finanziario un comune su 8, precisamente 1.083 su un totale di 8.389. La maggior parte dei dissesti riguardano proprio i piccoli comuni: 416 fallimenti su 683, infatti, fanno a capo a centri sotto i 5mila abitanti; 159, invece, si riferiscono a paesi tra i 5 e 15mila residenti; 55 i Comuni tra 15 e 30mila abitanti in dissesto; 49 tra i 30 e 100mila residenti; 4 oltre i 100mila. Anche nella categoria dei centri in “pre-dissesto”, 299 Comuni su 400 hanno meno di 15mila abitanti, solo nove sopra i 100mila residenti.

Il record dei dissesti spetta alla Calabria, sono 193 i fallimenti ai quali si sommano 86 richieste di riequilibrio: 279 comuni in difficoltà pari al 25,8% del totale nazionale. Segue da vicino la Campania con 173 dissesti e 64 pre-dissesti: 237 complessivamente, il 21,9% del dato nazionale. Sul podio la Sicilia con 80 dissesti e 83 riequilibri, 163 centri in crisi (15,1% del totale italiano). Oltre il 60% dei comuni in difficoltà economiche e finanziarie, quindi, sono concentrate in tre regioni. Seguono Lazio (7,5%), Puglia (7,5%) e Lombardia (4%). Valle d’Aosta e il Friuli sono le uniche regioni italiane che non risultano avere enti in dissesto o riequilibrio, seguite dal Trentino, che conta solo un pre-dissesto, e dalla Sardegna che si ferma a quota 4 dissesti ed ha all’attivo zero riequilibri.

Guardando all’incidenza percentuale delle due condizioni emerge che sono attualmente in dissesto o riequilibrio quasi 7 Comuni calabresi su 10 (279 su un totale di 411) e più del 40% dei comuni campani (237 su 552) e siciliani (163 su 390). Seguono: la Lombardia con 43 enti, che però in termini percentuali rappresentano solo il 2,7% del totale; la Puglia e il Lazio, entrambi con 41 comuni in dissesto o pre-dissesto; l’Abruzzo (36); la Basilicata (34); il Molise (32); il Piemonte (20); la Toscana (18); Emilia Romagna e Marche (14); Umbria (10). Chiudono la classifica il Veneto, con 4 enti (3 in dissesto e uno in riequilibrio); la Sardegna (4) e il già citato Trentino Alto Adige con 1 solo comune in pre-dissesto.

Non solo: il bando non ha tenuto conto dei finanziamenti già erogati negli ultimi dieci anni, con l’evidente rischio di disperdere risorse su strutture magari già finanziate e non prioritarie. I 700 milioni iniziali sono stati così ripartiti: 280 milioni per gli asili nido; 175 per le scuole dell’infanzia; 105 per i centri polifunzionali per servizi alla famiglia, 140 milioni per la riconversione di spazi delle scuole dell’infanzia attualmente inutilizzati.


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