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Maurizio Landini, Pier Luigi Bersani e Enrico Letta

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NELLE centinaia di migliaia di manifestanti riuniti a Roma a piazza San Giovanni dalla Cgil assieme alla Cisl e alla Uil c’è la risposta del sindacato all’attacco squadrista subito la settimana scorsa. Si assiepa e abbraccia quella parte d’Italia che reclama l’antifascismo come un valore assoluto e il ripudio della violenza come metodo elettivo di confronto democratico.

“È una manifestazione di tutti, non è di parte” taglia corto Maurizio Landini. Nelle intenzioni senz’altro, negli effetti pratici meno. Se infatti sul palco si avvicendano i leader sindacali, in piazza ci sono i leader di Pd e Cinquestelle. Mancano tutti gli altri.

E se per il centrodestra si tratta di assenze in qualche modo scontate, per le forze centriste e di centrosinistra è un vuoto significativo. Vuol dire che il campo largo su cui scommette Enrico Letta per battere le truppe di Salvini e Meloni, con l’aggiunta di Forza Italia che in tanti, a partire da Calenda, vorrebbero agganciare al treno di una maggioranza non più di larghe intese bensì post elettorale quando si voterà, è ben lungi dall’essere realizzato, e il richiamo ai valori costituzionali non basta per amalgamarlo.

Al dunque il rischio è che l’imponente forza mostrata dalla manifestazione non riesca, almeno ad oggi, a tramutarsi in una alleanza in grado di governare il Paese: una marea di energia che tuttavia risulta ancora di minoranza.

Né il voto dei ballottaggi, che potrebbe assegnare alla sinistra una vittoria con cappotto se riuscisse a vincere anche a Torino e soprattutto Roma, risulta bastevole per definire un assetto, uno schieramento capace di arginare e disgregare i vessilli no vax e consentire la realizzazione del Pnrr con le riforme che ne conseguono. Come pure sarebbe un risultato distorcente se le folle di San Giovanni diventassero armi strumentalizzanti come lo sono gli appelli di Salvini alla pacificazione.

Il punto vero è che l’Italia era e resta divisa, con la pandemia a fare da banco di prova; mentre l’azione governativa di Mario Draghi diventa sempre più una corsa solitaria. Ne risulta che la coesione sociale, ingrediente indispensabile per ottenere risultati tali da essere apprezzati dalla maggioranza degli italiani, si allontana nel tempo e nello spazio, lasciando macerie di contrapposizione che impediscono non solo la soluzione dei problemi ma anche la loro consapevolezza.

Invece la strada da imboccare è opposta. Abbiamo l’opportunità di ricevere risorse ingentissime dall’Europa a patto di dimostrare di saperle utilizzare. Si tratta di una occasione pressoché unica e occorrono leadership lungimiranti e aggregative per non mancare il bersaglio. Come pure serve una guida autorevole, prestigiosa, competente. Il governo di SuperMario corrisponde a queste caratteristiche e la maggioranza che lo sostiene pure. Ma è un fatto che quel coagulo virtuoso sia sempre più solcato da spinte disgregatrici.

Adesso si tratta di arrivare a fine anno mettendo in sicurezza alcuni provvedimenti fiscali e quello sulla concorrenza, predisponendo in parallelo la legge di Bilancio dove i progressi sotto il profilo economico vengano raccolti e consolidati. Poi ci sarà il passaggio decisivo del Quirinale. In sostanza in pochi mesi l’Italia si gioca la partita del futuro. La speranza è che il senso di responsabilità prevalga e tutte vale forze politiche e sociali siano all’altezza del compito. Le premesse, bisogna dirlo, non inducono all’ottimismo. Occorre uno scatto con lo sguardo all’interesse nazionale e non a quello egoistico della propria parte.


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