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L'assessore Lombardo al Welfare Giulio Gallera

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Giulio Gallera, come tutta la Lombardia di cui è citatissimo assessore al Welfare, sta vivendo ore inquiete. Dopo aver speso anni nel convincere i concittadini dell’efficacia tutta nordista della vaccinazione preventiva e della guerra ai virus d’ogni foggia, oggi, davanti ai primi casi di Coronavirus nel suo territorio, si ritrova a dover metter in campo le sue strategie di contenimenti virologico. Non è impresa da poco.

IL COPRIFUOCO

Infatti. all’arrivo del virus, la Lombardia, regione – assieme al Veneto e all’Emilia – dalla capacità sanitaria leggendaria, non era – diciamolo – del tutto preparata.
«Stiano tutti a casa – dichiara pubblicamente l’assessùr con lo sguardo al cielo – la Regione Lombardia invita tutti i cittadini di Castiglione d’Adda e di Codogno, a scopo precauzionale, a rimanere in ambito domiciliare e a evitare contatti sociali».

Gallera lo chiama “coprifuoco sanitario”, ma decisamente non vi si approccia col piglio di uno Xi Jinping. Ieri mattina, oltre al 38enne di Lodi contagiato da un collega manager asintomatico che proveniva dalla Cina, alle 10 i contagiati erano due, alle 13 sono diventati 4, compresa la di lui moglie incinta, alle 15 erano 6; e in serata’erano ben 250 i lombardi in quarantena «a cui fare il tampone».

La progressione del virus è stata spiazzante. Altre precauzioni inevitabili dopo l’accertamento: il sindaco di Codogno, paese limitrofo, con due diverse ordinanze, ha disposto per il pomeriggio la chiusura delle scuole e, «almeno fino a domenica», di tutti «gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, di pubblico intrattenimento e i luoghi di ritrovo e assembramento del pubblico» come discoteche, sale da ballo, sale giochi e impianti sportivi.

LE CONTROMOSSE

La misura, ha spiegato l’assessore ai lavori pubblici Severino Giovannini, è stata presa in via precauzionale. In più scuole e nidi restano chiusi fino a martedì, attraverso un’altra ordinanza firmata dal vicesindaco di Casalpusterlengo.

In più, a causa della «situazione di allarme nazionale» e per «tutelare la pubblica incolumità» è stata disposta «temporaneamente e in via provvisoria e precauzionale almeno fino a domenica 23 febbraio» la chiusura di «tutti gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, di pubblico intrattenimento e i luoghi di assembramento pubblico (come discoteche, sale da ballo, sala giochi)».

Nel frattempo è intervenuto anche il commissario straordinario per l’emergenza coronavirus e capo della Protezione civile, Angelo Borrelli. «Abbiamo individuato due strutture, una su Milano e una a Piacenza, per complessive 150-180 persone e abbiamo censito altre strutture e alberghi – ha detto ieri nella conferenza stampa organizzata a Palazzo Lombardia per fare il punto sui primi casi accertati di Covid-19 – Avevo infatti chiesto da giorni alla Regione di avere l’elenco di tutte le strutture, anche alberghiere, che possono servire. E se ne avremo bisogno le prenderemo».

I TEST

E sta bene. Il territorio dell’operoso nordovest reagisce, in qualche modo. Ma il punto è un altro. E’ l’incertezza, e l’inquietudine, e la sensazione di andare a tentoni nel trovare il bandolo della matassa: elementi che poco hanno dell’efficienza lombarda.

Dice ancora il Gallera: «Ancora non sappiamo da chi si è diffuso il virus, potrebbe non essere da caso zero ma potrebbe anche essere che è guarito. Non abbiamo la certezza di quale sia il caso indice. Abbiamo recuperato il caso indice – precisa – tornato dalla Cina il 21 gennaio, ora al Sacco (l’ospedale, ndr). Ha fatto subito i controlli, sta bene e non ha avuto sintomi, salvo una leggera febbre».

Come ha precisato anche Maria Gramegna, della direzione generale Welfare, è risultato negativo al test: «Il problema che possa essere negativo il caso indice è che a un certo punto il virus viene eliminato, quando la persona guarisce. Il test quindi potrebbe non trovarlo più».

Per questo motivo, i suoi campioni sono stati inviati all’Istituto Superiore di Sanità (Iss) a Roma, «per cercare gli anticorpi al virus».

LA CENTRALE A ROMA

Ecco. L’elemento inedito è che la sanità lombarda abbia, in queste ore drammatiche, come riferimento Roma intesa sia come centrale delle operazioni sanitarie, sia come Ospedale Spallanzani ossia la war room dove s’è isolato il virus e dove si discutono le strategie per contrastarlo. Allo Spallanzani 63 dei ricoverati sono stati dimessi; la coppia di cittadini cinesi provenienti dalla città di Wuhan, casi confermati di Covid – 19 continua a migliorare; il giovane studente tenuto sotto osservazione è pronto a riveder le stelle.
C’è quasi, mediaticamente un rovesciamento di paradigma. A Roma il cordone sanitario appare come una barriera invincibile (si spera) al contagio, invece in Lombardia, per ora, l’impressione è che si navighi a vista, con Matteo Salvini che se la prende col governatore toscano e con Prato che non blocca i cinesi alle frontiere, mentre dai porosi confini lombardi riescono a passare gli untori italiani e i “pazienti zero”. Ma, certo, non è una gara. Confidiamo che da Roma a Milano, le nostre task force sconfiggano, assieme al Coronavirus, anche la pandemia del campanilismo politico con tanto di reciproci rinfacci e di accuse incrociate…


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