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Una veduta del palazzo regionale della Lombardia

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La strana coppia Fontana-Gallera colpisce ancora. L’arma contundente è sempre la stessa: un’altra spericolata decisione della giunta lombarda. Dopo la delibera dello scorso 8 marzo che spediva i malati di Codiv-19 nella Rsa contagiando a più non posso, e quella successiva del 30 marzo che non li faceva più uscire sconsigliandone il ricovero negli ospedali, ecco il taglio delle risorse. Una riduzione del budget per le prestazioni sociosanitarie. Un colpo basso alle strutture profit ma soprattutto no profit che si occupano di anziani, disabili, soggetti con dipendenze e problematiche di salute mentale. I più fragili, insomma, da sempre il bersaglio preferito. Un micidiale uno-due che rischia di mettere al tappeto strutture già in affanno, messe alle corde dalla serie infinita di vite stroncate dal virus.

IL COLPO DEL KO

Se non fosse tutto vero, se i numeri dell’Istituto superiore della Sanità non descrivessero in Lombardia scenari da sterminio, verrebbe da chiedersi se per caso non sia un siparietto da “Scherzi a parte”. Come spiegare altrimenti una cabina di regia che ispira in senso ostinato e contrario tutte le deliberazioni del presidente della Regione e dell’assessore alla Sanità lombarda? Una forma di accanimento che trasforma un provvedimento concepito per ridurre i profitti dei privati in un attacco al Terzo Settore.

Con una scelta di tempo che non ha precedenti, la giunta del Pirellone ha disposto di recepire le indicazioni del Dl Rilancio 34/2020, un decreto-legge non ancora convertito in legge che prevede ben 103 decreti attuativi di cui solo 9 adottati finora. Ebbene, l’articolo 4 del provvedimento, varato da Palazzo Chigi lo scorso 5 maggio, dispone una riduzione dei rimborsi da liquidare agli erogatori di prestazioni riducendoli dal 95% al 90 % del budget. È diretto a chi ha avuto una temporanea sospensione o rimodulazione di tutte quelle attività di ricovero o ambulatoriali differibili. E ha una sua logica: perché anticipare a titolo di acconto rimborsi per prestazioni mai effettuate?

La precedenza assoluta ai malati di Codiv-19 ha imposto infatti un rinvio degli interventi non urgenti e svuotato interi reparti. Fin qui nulla da dire. Nelle intenzioni di chi ha varato il provvedimento la norma doveva riguardare una bella fetta della sanità lombarda che si è riconvertita in tutta fretta al Covid. E ‘successo invece che a farne le spese saranno soprattutto le Rsa del Terzo settore. Un mondo molto vario, spesso vicino al volontariato, alle Cooperative e al Vaticano, che colma i vuoti lasciati dalla sanità pubblica e si muove in una zona grigia: 70 mila posti letto, migliaia di posti di lavoro a rischio.

Le varie associazioni del settore – Agespi-Alleanza Cooperative italiane-Anaste, Anfass Lombardia-Aris-Arlea-Uneba – hanno letto la direttiva e sono rimaste di stucco. Non volevano crederci. Le loro strutture non solo non hanno sospeso la consueta attività di ricovero per anziani, ma hanno dovuto fare i conti con una situazione unica e senza precedenti. Nel 77% dei casi il personale non aveva dispositivi di protezione, solo in alcune erano presenti medici, infermieri e operatori in grado di fronteggiare l’emergenza. Come se non bastasse, un’altra determina regionale (la 3226) stabiliva che gli operatori Rsa dovevano recarsi a domicilio per sottoporre all’esame sierologico e al tampone i richiedenti in lista d’attesa. Persone anziane non autosufficienti, alle quali potrebbe essere imposta una quarantena di due settimane.

LA VENDETTA CONTRO IL TERZO SETTORE

Le associazioni hanno preso carta e penna e scritto al presidente Fontana e per conoscenza all’assessore al Welfare Gallera pensando “ad un mero errore materiale” e invitando la Regione a “provvedere alla rettifica del documento in autotutela”.

Errore o non errore, e a prescinderà dall’entità, il taglio del 5% colpisce per la scelta di tempo e obiettivo. Il Terzo settore è da sempre il più critico. Il primo ad aver messo in discussione l’operato della giunta lombarda, un cast di personaggi sempre più televisivi e sempre più discutibili L’ultima “perla”, il taglio “vendicativo”, coincide tra l’altro con il cambio al vertice della sanità lombarda. Luigi Cajazzo, 51 anni, ex poliziotto della Mobile di Lecco, è stato promosso (o meglio rimosso) e dal 18 giugno siede sulla poltrona di vicesegretario generale della Regione con delega all’integrazione sociosanitaria. Al suo posto è arrivato Marco Trivelli, 56 anni, manager storico, già ai tempi di Bobo Maroni (a volte tornano). Chi pensa insomma che la strage infinita di anziani sia servita a qualcosa potrebbe molto presto ricredersi.


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