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Luca Zaia

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Dall’eccellenza all’emergenza. Il Veneto, che durante la prima fase della pandemia aveva reagito con efficienza e con buoni risultati rispetto ad altre regione italiane, in particolare la confinante Lombardia, si trova ora a far fronte a una situazione difficile, che la proietta ai primi posti delle classifiche più negative. Ieri mattina, nel bollettino della Regione sono stati registrati 1083 nuovi infetti durante la notte e ci sono state cinque nuove vittime del virus rispetto al report di martedì sera. Così i morti per Covid sono saliti in totale a quota 2.282. Attualmente sono 13.619 i cittadini in isolamento, mentre sale a 38.265 il numero dei contagiati da inizio pandemia e i positivi sono, attualmente, 11.433.

Come mai questa impennata? Per la Regione l’importante incremento di casi è legato anche al flusso delle microbiologie da Venezia, risalente al 15 ottobre, che è stato aggiornato a seguito delle modifiche al sistema introdotto nelle ultime due settimane. Comunque, al di là della regolarità delle segnalazioni, la provincia più colpita è Venezia, con 450 nuovi casi, segue Treviso con 223 ( e qui si è sviluppato un focolaio proprio al centro tamponi, che comunque resterà aperto), Vicenza con 146, Padova con 126, Verona con 74, 12 a Rovigo e 7 a Belluno. È un dato doppio rispetto alle peggiori statistiche della prima ondata.

Nonostante questa situazione, Luca Zaia, che ha annunciato per oggi una nuova conferenza stampa, sostiene che “In Veneto in questo momento il tema del lockdown, assolutamente non c’è, non lo prendiamo in considerazione. Guardiamo con attenzione a questa evoluzione, i modelli dicono che la curva è entrata nella fase di crescita. Il nostro ruolo è fare in modo che si impenni con gradualità e che si alzi il meno possibile”. Intanto è stato deciso che in Veneto la riapertura degli ospedali Covid center potrà avvenire solo se le terapie intensive dovessero superare la soglia dei 150 posti occupati, ovvero il ‘livello 3’ del nuovo piano di sanità pubblica. Il piano prevede cinque gradi diversi di gravità, con provvedimenti che riflettono il livello di ricoveri, soprattutto con un occhio alle terapie intensive. “Con 150 malati – ha spiegato Zaia – scatta la riapertura dei 10 ospedali Covid center, che immagino sarò graduale, non immediata. Forse si inizierà con qualche paziente e dopo si arriverà a regime”.

Zaia ha invitato alla cautela nell’interpretare gli oltre mille nuovi casi. “Invito a guardare con obiettività, perché c’è stato un cambio di sistema informatico, e dalla provincia di Venezia abbiamo avuto circa 500 casi dal 15 di ottobre ad oggi, ‘scaraventati’ nel sistema nella notte”. In media ogni giorno in Veneto vengono eseguiti 25-30.000 tamponi, per il contact tracing, in parte molecolari, in parte rapidi”. E’ stato comunque deciso di riaprire in pianta stabile l’Unità di crisi nella sede della Protezione Civile di Marghera.

Intanto a Treviso è scoppiata la polemica politica. Il Comune, che come sindaco il leghista Mario Conte, ha negato il patrocinio a un dibattito dai contenuti scientifici della pandemia in Veneto che era stato promosso dall’Ateneo di Treviso, una storica istituzione culturale. Il motivo? Era stato invitato come relatore il professore Andrea Crisanti, dell’Università di Padova e la giunta si è dissociata a causa dei giudizi negativi espressi da Crisanti sulla gestione dell’emergenza in Veneto. Tra Luca Zaia e Andrea Crisanti la guerra è scoppiata mesi fa, quando al docente venne offerta una candidatura da parte del centrosinistra. A quel punto il governatore schierò, anche pubblicamente, tutti i collaboratori della sanità veneta per dimostrare che era lo staff e non un singolo virologo ad aver determinato i piani (allora) vincenti contro la pandemia.

Sulla situazione che si è aggravata è intervenuto Christian Ferrari, segretario generale di Cgil Veneto. “Va bene l’illustrazione del piano sanitario per affrontare l’emergenza fatta dal presidente Zaia, ma non basta avere posti sufficienti in terapia intensiva e nei reparti, occorre fare tutto il possibile per evitare che le persone, soprattutto le più fragili, siano ricoverate in una situazione drammatica, che non di rado rischia di avere esiti letali. È il momento di agire, sia per proteggere la salute dei cittadini sia per far sì che le scuole, il lavoro, le attività produttive possano proseguire. Sono le priorità che ci siamo dati e che il sindacato condivide totalmente, ma perché siano preservate, è inevitabile restringere le maglie delle altre attività, intervenire per implementare il trasporto pubblico con le risorse proprie e utilizzando fino all’ultimo euro i fondi nazionali, regolamentare gli orari degli studenti in modo da evitare assembramenti. Se non si agisce in fretta, le conseguenze sanitarie saranno pesantissime e anche quelle economiche peggioreranno ulteriormente”.


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