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Ambulanze insufficienti, numero di emergenza in tilt e se non bastasse ospedali che cascano a pezzi. Letteralmente, come denunciato in una lettera aperta di medici e infermieri del polo di Niguarda: nei giorni scorsi due pannelli si sono staccati dal soffitto della Rianimazione Covid Rossini, il reparto riaperto da poco per fronteggiare l’emergenza Coronavirus in uno dei principali hub di Milano. Ma è tutto il sistema lombardo che sta affrontando una dura prova: le chiamate al numero unico 112 sono state talmente tante che due giorni fa il centralino è andato in tilt. L’ultima volta era successo proprio in primavera.

MANCANO UOMINI E MEZZI

Altri aspetti della crisi ricordano la prima quarantena, come la carenza di uomini e mezzi: Regione Lombardia ha dovuto chiedere a Croce rossa, Anpas e Misericordie di aumentare il numero di ambulanze a disposizione, perché il numero di chiamate è così alto che i pazienti devono aspettare sui mezzi fino a mezz’ora per evitare assembramenti.

I primi passi sono stati compiuti: «Solo questa settimana abbiamo messo in campo 12 nuovi mezzi – spiegano all’Ansa Anpas, Cri e Misericordie, che sull’area metropolitana ne gestiscono una sessantina – programmando aumenti costanti di presenze con ulteriori nuove ambulanze ogni giorno, fino alla prossima settimana».
Ma non basta, perché oltre ai mezzi ci vogliono le persone: «Il problema non sono tanto le vetture – sottolinea un tecnico – quanto gli equipaggi. Non possiamo correre il rischio di mettere sui mezzi soccorritori non adeguatamente preparati, anche e soprattutto perché si lavora in regime Covid, con protocolli complessi».

A proposito di ambulanze, ieri la prima ha varcato i cancelli riaperti dell’ospedale in Fiera. Ma per l’hub costruito da Guido Bertolaso al costo di 20 milioni di euro ricorre sempre lo stesso tema: negli armadi non c’erano neanche medici e infermieri.

CONTAGI E RICOVERI IN CONTINUO AUMENTO

Dunque le risorse umane dovranno essere trovate, ma sarà sempre più difficile nelle prossime settimane perché i dati non migliorano: secondo quanto comunicato dal governatore lombardo Attilio Fontana, in Lombardia si registrano 5mila positivi in più rispetto a ieri, 350 ricoveri tra intensiva e non, e un numero complessivo di 170 ricoverati in terapia intensiva. Solo a Milano sono mille i nuovi contagi.

E la medicina di territorio indica tendenze preoccupanti: secondo la Ats della Città metropolitana, il numero medio di visite dei medici Usca (acronimo delle unità territoriali) è di 70 al mese. Per avere un termine di paragone, ad aprile erano 50. Motivo per il quale le unità sono state potenziate: dai 13 camici bianchi disponibili a settembre, si passerà entro fine mese a 25 e a 27 a novembre.

MEDICINA TERRITORIALE IN STATO DI ABBANDONO

La medicina del territorio è una delle armi essenziali per combattere il virus come ha ribadito Massimo Galli, responsabile del dipartimento Malattie infettive del Sacco: «Per quanto riguarda la struttura di tipo sanitaria, credo che ci si debba augurare che ci sia un pre e un post Covid. Il post Covid deve essere necessariamente qualcosa che comprenda un’organizzazione della medicina del territorio e della prevenzione ben diversa da quella a cui ci eravamo ridotti ad oggi. Ci sono stati più di due, forse tre decenni di abbandono sostanziale dello sviluppo di questa medicina o del suo essere relegata a un ruolo ancillare. Ne stiamo pagando, anche pesantemente, le conseguenze».

Galli ha quindi auspicato un «futuro in cui toccherà investire bene e parecchio, perché la medicina del territorio e della prevenzione vengano garantite. Non dico che sia stato sbagliato investire in cardiochirurgie, ma magari averne un numero tale, soprattutto con molto nel privato, che è praticamente pari a quello dell’intera Francia, ci dice che forse qualcosa non va. Forse si doveva allestire una maggior organizzazione a livello di grossi ospedali hub, con grosse unità che potessero essere magari, anche dal punto di vista economico, più adatte e rispondenti alla realtà dei bisogni».

Ma anche gli ospedali hub come il Niguarda sono in difficoltà, come dimostra la lettera resa pubblica dal sindacato Fials Asst Niguarda. Un segnale emblematico, perché non è un ospedale qualunque, ma un cardine fondamentale del sistema sanitario milanese e lombardo. Eppure anche qui mancano i medici e infermieri: la posta pneumatica con cui si dovrebbero scambiare i materiali (ad esempio i campioni per gli esami, ndr) i vari reparti è perennemente in panne. Gli infermieri devono così uscire dalle rianimazioni lasciando sguarniti i reparti.

MEDICI E INFERMIERI ALLO STREMO

E i medici sono tornati a turni massacranti perché manca il personale: «Tutti e tre i turni si trovano in estrema difficoltà: al mattino ci troviamo a lavorare in 7, al pomeriggio in 6 e la notte 5/6 – raccontano i sanitari – Stiamo lavorando con dei ritmi non umani, ad esempio vi sembra possibile che in un turno notturno di 10 ore si possa uscire dalla zona “sporca” e si possano rimuovere i dpi solo per 15 minuti? Nel conteggio del personale necessario bisogna considerare infermieri nella zona “pulita” che possano dare il cambio agli infermieri nella zona “sporca”, così da non dover rimanere per più di 3/4 ore di seguito con gli stessi dpi, per la nostra sicurezza in primis. Ci sentiamo stanchi e abbandonati e siamo solo all’inizio di questa nuova emergenza».

Le risorse ci sono, ripetono le istituzioni, ma è anche vero che nei mesi scorsi sono state usate anche per premiare i dirigenti ospedalieri che chiudevano i reparti Covid. Mentre solo ora si riaccelera sulle assunzioni di personale. Si insegue cioè il virus, invece di provare a gestirne la presenza, come consigliano da mesi vari esperti. Eppure anche il tema della carenza di medici, che dovrebbe acuirsi entro il 2025 per effetto dei pensionamenti, non è nuovo. Poteva essere l’occasione per affrontarlo, ma l’approccio delle istituzioni sembra quello di procedere settimana per settimana.


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