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Favorevoli, contrari e attendisti. Il tema del lockdown a Milano e Lombardia divide gli esponenti della comunità lombarda. E intanto si scopre un altro ritardo nell’organizzazione della sanità lombarda: medici e infermieri ancora non sono stati vaccinati contro l’influenza.

Le ultime dichiarazioni di Walter Ricciardi, consulente del Ministero della Salute, sono state come una bomba psicologica in un momento in cui i contagi crescono e la tensione s’impenna: «A Milano e Napoli uno può prendere il Covid entrando al bar, al ristorante, prendendo l’autobus. Stare a contatto stretto con un positivo è facilissimo perché il virus circola tantissimo. In queste aree il lockdown è necessario, in altre aree del Paese no».

Parole pesanti, soprattutto in un territorio continuano a contarsi errori e ritardi nell’organizzazione della lotta al Coronavirus: l’ultimo esempio è la mancata vaccinazione di medici e infermieri. L’assessore al Welfare Giulio Gallera ha ripetuto nelle scorse settimane che le categorie a rischio, tra cui i sanitari, erano coperte dalle dosi nelle disponibilità della Regione, ma a quanto pare vaccini sono rimasti in magazzino.

Nella confusione vissuta oggi dai lombardi, l’intervento di Ricciardi ha aggiunto tensione e divisioni. Da una parte ci sono i sostenitori del no. In prima fila in questo schieramento c’è il governatore leghista Attilio Fontana: pochi giorni fa ha affermato che non ci sono «le condizioni per prevedere ipotesi di questo genere, anzi, tutti i nostri interventi vanno nella direzione di evitare ogni tipo di lockdown».

Il presidente lombardo ha poi aggiunto che in ogni caso lui può solo sollecitare l’eventuale decisione, ma la scelta deve compierla il governo. Ma dall’Iss ha risposto il presidente Silvio Brusaferro che ha chiarito come il lockdown è «un’opzione prevista, ma dipende dalle regioni». Insieme a Fontana sono per il no in ogni caso alcune categorie come gli artigiani: Marco Accornero, segretario generale dell’Unione Artigiani di Milano, ha affermato pochi giorni fa di essere pronto a «azioni legali per tutelare la categoria» in caso di serrata.

E l’associazione con i suoi 16mila iscritti è tra le più rappresentative del mondo produttivo in Lombardia. O i ristoratori che hanno protestato ieri in piazza proprio per la chiusura anticipata imposta dagli ultimi documenti vergati da governo e Regione. Voci contrarie alla chiusura arrivano anche da Giorgia Meloni e da Marco Osnato, deputato lombardo di Fratelli d’Italia e responsabile del Commercio per i meloniani, che si è espresso anche contro il mini lockdown già in atto: «Non crediamo che il virus circoli più diffusamente in determinati orari, e anzi, ridurre la capacità di accoglienza temporale di bar e ristoranti rischi di aumentare la concentrazione di utenti».

Per il sì invece si è dichiarato Guido Bertolini, responsabile del Coordinamento Covid-19 per i Pronto soccorso lombardi. Secondo lui è necessario agire ora perché il sistema è già troppo sotto pressione: «Ora bisogna chiudere. Siamo arrivati al punto che è necessario un lockdown. La situazione di rischio è generalizzata, riguarda tutta la regione. Soprattutto in alcune aree il sistema assistenziale è vicino al collasso. Milano è più avanti, ma anche altre province hanno quell’andamento esponenziale che preoccupa».

Con lui si è messo in fila anche Massimo Galli, responsabile del settore Malattie infettive dell’ospedale Sacco, che ha detto «potremmo non dover aspettare» a chiudere tutto un’altra volta. E il professore parla per esperienza diretta perché proprio nel suo ospedale si è verificato un focolaio che ha preoccupato ancora di più l’opinione pubblica. Fabio Pizzul, capogruppo del Partito democratico in Regione, ha spiegato la sua posizione, più prudente ma a favore delle restrizioni: «I dati in Lombardia sono sempre più gravi, per questo i provvedimenti presi tentano di arginare una crescita che sarebbe insostenibile per le strutture sanitarie che al momento stanno tenendo ma non possono andare avanti molto – ha spiegato – in questo momento il bene più importante è quello di tentare di far abbassare la curva del contagio».

Poi c’è la linea attendista. Per questo esercito ha firmato il sindaco di Milano Giuseppe Sala: «Il tema del lockdown è tornato prepotentemente al centro della discussione e io, per quello che osservo oggi, ritengo che il lockdown oggi sia una scelta sbagliata. È nelle mie responsabilità e io ragiono con la testa e col cuore, guardo i dati: oggi noi abbiamo meno di 300 terapie intensive e ne abbiamo avute 1.700 (nel corso della prima ondata, ndr). Sono in crescita, ok, ma stiamo già facendo dei sacrifici e vediamo cosa succederà».

Il primo cittadino ha segnato un limite massimo di 10-15 giorni per decidere cosa fare. Stesso lasso di tempo indicato da Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli Studi di Milano: «Aspettiamo 15-20 giorni per valutare gli effetti. Uno studio recente su Lancet ci dice che i primi effetti delle misure non farmacologiche si apprezzano già 8 giorni dopo l’introduzione».


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