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Il governatore lombardo Fontana con il neo assessore alla sanità Letizia Moratti

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Nel 2020, per ogni calabrese, mediamente, lo Stato ha speso 1.800 per il settore sanità, contro i 1.935 destinati ad un piemontese, i 1.916 che ha “ricevuto” un friulano o i 1.880 destinati ad un lombardo. Le Regioni del Nord, da ormai quasi 20 anni, ricevono maggiori attenzioni nel campo sanitario e non solo, riuscendo ad ottenere, grazie ad iniqui criteri di suddivisione del fondo sanitario nazionale, quote di trasferimento maggiore.

Adesso, la neo assessora alla Sanità della Lombardia, Letizia Moratti, vorrebbe che venisse data precedenza nella distribuzione dei vaccini anti Covid alle regioni con un Pil più alto. Inutile dire che ad essere “premiato” sarebbe ancora una volta il Nord: secondo i dati Istat, la Provincia autonoma di Bolzano con un Pil per abitante di 48,1 mila euro è la più ricca, seguono proprio Lombardia (39,7mila euro) e Valle d’Aosta (38,8mila euro). Con 36,8mila euro nel 2019 il Nord-ovest resta l’area geografica con il Pil per abitante più elevato, seguono il Nord-est con 35,5mila euro e il Centro, con 32,1mila euro. Il Mezzogiorno, con 19,2mila euro, sarebbe quindi l’area più penalizzata seguendo i criteri suggeriti da Moratti.

Anzi, il Sud sarebbe due volte penalizzato, visto che storicamente le Regioni del Mezzogiorno devono fare “le nozze con i fichi secchi”, come denunciato dal governatore pugliese, Michele Emiliano, sabato scorso durante l’inaugurazione del nuovo ospedale Covid in Fiera a Bari. È un dato di fatto certificato da Bilanci e Corte dei Conti che il Nord continua a prendere più soldi per i suoi ospedali. Prendete la spesa per investimenti in sanità, da 18 anni è del tutto squilibrata territorialmente: dei 47 miliardi totali dal 2000 al 2017, oltre 27,4 sono stati spesi nelle regioni del Nord, 11,5 in quelle del Centro e 10,5 nel Mezzogiorno.

In termini pro-capite, significa che mentre la Valle d’Aosta ha potuto investire per i suoi ospedali 89,9 euro, l’Emilia Romagna 84,4 euro, la Toscana 77 euro, il Veneto 61,3 euro, il Friuli Venezia Giulia 49,9 euro, Piemonte 44,1, Liguria 43,9 euro e Lombardia 40,8 euro; la Calabria ha dovuto accontentarsi di appena 15,9 euro pro-capite, la Campania 22,6 euro, la Puglia 26,2 euro, il Molise 24,2 euro, il Lazio 22,3 euro, l’Abruzzo 33 euro. Capitolo riparto fondo sanitario nazionale, anche nel 2020 ha seguito logiche inique: meno risorse al Sud a parità di popolazione.

Qualche esempio? Alla Puglia, 4,1 milioni di abitanti, dei 113,3 miliardi complessivi, sono stati riservati 7,49 miliardi; l’Emilia Romagna (4,4 milioni di residenti) riceverà 8,44 miliardi: quasi un miliardo in più nonostante una popolazione quasi identica. Prendendo in considerazione il Veneto (4,9 milioni di abitanti) la sproporzione resta, visto che la Regione di Zaia incassa 9,2 miliardi, quasi due in più rispetto alla regione di Michele Emiliano. Le differenze si fanno ancora più palesi se prendiamo la spesa pro capite dello Stato per ogni cittadino: per la salute e le cure di un pugliese, lo Stato investe 1.826 euro, contro i 1.918 riservati ad un emiliano e 1.877 per un veneto. La Lombardia, che conta 10 milioni di residenti, riceve 18,8 miliardi per la sua sanità che non ha brillato durante l’emergenza Coronavirus: fatti due calcoli, significa 1.880 euro per ogni sua cittadino. La Campania, 5,8 milioni di residenti, avrà 10,6 miliardi: 1.827 euro pro capite.

La Calabria (quasi due milioni di abitanti) ottiene nella ripartizione del fondo sanitario nazionale da 113 miliardi solamente 3,6 miliardi: 1.800 euro per ogni cittadino. Potremmo continuare: il Friuli Venezia Giulia che conta 1,2 milioni di residenti, incassa 2,33 miliardi: 1.916 euro per ogni suo cittadino. E ancora: il Piemonte, che pure negli ultimi anni come certificato dalla Corte dei Conti, non ha brillato nell’obiettivo di tenere sotto controllo la spesa sanitaria, incassa dallo Stato 8,33 miliardi per 4,35 milioni di abitanti: circa 1.935 euro per residente. Chiudiamo con la Toscana, 3,73 milioni di abitanti e 7,1 miliardi: 1.917 euro pro capite.

Più soldi, eppure la Lombardia, con il suo sistema sanitario ospedalocentrico e basato principalmente sull’attività dei privati, non ha brillato durante la gestione della pandemia Covid: la carenza strutturale dei dipartimenti di Salute ha portato quasi al collasso il sistema sanitario lombardo. Anche nel confronto tra il 2010 e il 2020, l’incremento percentuale del Fondo sanitario nazionale premia il Nord: negli ultimi 10 anni proprio la Lombardia ha visto aumentare la propria fetta dell’11,4%, l’Emilia Romagna del 9,9%; 8,2% in più per la Toscana. La Basilicata, invece, ha avuto un incremento percentuale molto più modesto (+4,9%); l’Abruzzo del 6,7%; Calabria +5,7%; la Puglia e la Campania di circa l’8,1%. Non solo: dal 2012 al 2017, nella ripartizione del fondo sanitario nazionale, sei regioni del Nord hanno visto aumentare la loro quota, mediamente, del 2,36%; mentre altrettante regioni del Sud, già penalizzate perché beneficiare di fette più piccole della torta dal 2009 in poi, hanno visto lievitare la loro parte solo dell’1,75%, oltre mezzo punto percentuale in meno.

Tradotto in euro, significa che, dal 2012 al 2017, Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana hanno ricevuto dallo Stato poco meno di un miliardo in più (per la precisione 944 milioni) rispetto ad Abruzzo, Puglia, Molise, Basilicata, Campania e Calabria. Si dirà, le Regioni del Nord ricevono più soldi perché le spendono meglio. Falso mito. Tra il 2018 e il 2019, in Italia si è registrato un peggioramento del disavanzo nei conti del settore sanitario del 10 per cento: dai 990 milioni del 2018 si è passati a poco meno di 1,1 miliardi nell’esercizio appena concluso. Un peggioramento – certifica la Corte dei Conti nel Rapporto 2020 sul coordinamento della finanza pubblica – da ricondurre “in prevalenza alle regioni non in Piano e a statuto ordinario, che vedono ampliarsi il disavanzo dai 69,1 milioni del 2018 ai 165,5 del 2019”. I giudici contabili stanno parlando proprio delle Regioni del Nord, l’esame dei dati è tratto dai conti economici consolidati.


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