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Ricordate le Rsa, le residenze per anziani che durante la prima ondata si trasformarono in focolai? Le migliaia e migliaia di decessi? Le inchieste, valga per tutte quella sul Pio Albergo Trivulzio? Quale occasione migliore del Recovery plan per mettere in sicurezza queste strutture, legarle al territorio, evitare gli errori già fatti, colmare quel vuoto che la sanità pubblica ha lasciato ai privati? A quanto pare la lezione non è servita. Nelle nove pagine dedicate alla Missione Salute del Piano nazionale di resilienza e resistenza ce le siamo dimenticate. Non c’è nessun riferimento a queste strutture che ospitano anziani, residenze messe a dura prova dalla pandemia. Parliamo di qualcosa come 2.800 Rsa, 270mila posti letto, 300mila dipendenti.

SPENDIAMO MENO DI MALTA

La prima ondata è stata contrassegnata da una catena ininterrotta di lutti, specialmente in Lombardia, dove inizialmente nelle Rsa sono stati dirottati persino i pazienti positivi (ricordate la delibera dell’assessore Gallera). Il contagio gli fu recapitato a domicilio. Degli effetti della seconda si parla poco ma solo perché, grazie alla capacità di diagnosticare in anticipo e grazie ai tamponi ai medici e al personale, si riesce a individuare la malattia e a contenerla. Come si sa, c’è un prima Covid-19 e c’è un dopo Covid. Prima che il virus si diffondesse l’Italia era il Paese dove la popolazione – dati Istat 2019 – si caratterizzava per una elevata speranza di vita, circa 83 anni, con un tasso di mortalità inferiore rispetto ai Paesi Ocse. E questo nonostante – come si ricorda nel Recovery Plan – la spesa sanitaria pubblica in rapporto al Pil si attesti intorno al 6,5%, al di sotto dunque della media europea (7,8%).

Viviamo di più ma per la nostra salute spendiamo meno, in proporzione, di Malta, Regno Unito, Finlandia, Belgio, Irlanda, Lussemburgo, Danimarca, Paesi Bassi, Svezia, Austria, Germania e Norvegia. Dopo il Covid-19 quel che prima ci caratterizzava, un fiore all’occhiello, ora è diventato un problema. Anzi, “il Problema”: il 23% della nostra popolazione è costituita da over 65, e un altro 3,6% da over 80. Una sfida non facile per il nostro sistema sanitario. L’ Istituto superiore di sanità ci dice che l’età media dei pazienti deceduti e positivi al Co div-19 è di 80 anni. Forse, dunque, era proprio in questo segmento che bisognava intervenire.

«Invece – spiega Luca Degani, presidente di Uneba Lombardia organizzazione di categoria del terzo settore che riunisce 900 enti – siamo rimasti soli. Nel Recovery non c’è traccia di investimenti e di qualsiasi ipotesi di sviluppo della residenzialità e semi-residenzialità per persone anziane croniche, impossibilitate a permanere al proprio domicilio. Anzi, sembra quasi che a guidare questo disegno ci sia l’idea di vedere questo nostro mondo come un “mondo negativo”. Si ragiona su temi che non modificano un sistema che esiste e che non può né deve scomparire da un momento all’altro: la domicialiarità, la semiresidenzialità e il “vituperato” mondo delle Rsa non sono in contrasto.  Le Rsa sono, insieme agli ospedali di comunità e al ripensamento della medicina di base, il punto centrale del passaggio dall’ospedale al territorio. Rischiamo di non attuare il necessario passaggio infrastrutturale da una medicina incentrata sulla acuzie e la risposta ospedaliera esclusiva a una tutela della salute basata sulla prossimità e su percorsi di cura per una popolazione (in parte fortunatamente) sempre più anziana e cronica».

NIENTE VACCINI

C’è chi dice che la telemedicina va bene, va bene l’assistenza di prossimità, la definizione di un nuovo assetto istituzionale Salute-Ambiente, ma sarebbe bastato rifarsi al Piano sanitario nazionale o al Patto per la salute di renziana memoria. Ricordate i Presst e i Pot? Che fine hanno fatto i presidi socio-sanitari territoriali e i presidi ospedalieri territoriali?

Rafforzare e incentivare le aggregazioni dei medici di base, creare ambulatori polifunzionali dotati di macchinari per la diagnostica per le immagini (Tac a parte). Persino il libro bianco di Bobo Maroni conteneva indicazioni in grado di far ripartire il sistema. Le Rsa si erano proposte come luoghi idonei a effettuare sul territorio la campagna vaccinale. Non sono state prese in considerazione («abbiamo le strutture, gli operatori, ci siamo proposti ma al momento non è stato lanciato alcun bando»). Risultato: né vaccini né vaccinati, visti i ritardi nelle forniture La situazione economica di queste strutture, che pure svolgono un ruolo essenziale, sostituendosi a una totale assenza dello sanità pubblica, non è rosea. Il Covid ha spaventato molti pazienti. E i ristori da soli non bastano a riequilibrare in bilanci spesso in rosso.

Il decreto approvato dal governo rimborsa infatti solo il 50% della quota sanitaria, mentre il restante 50%, la quota sociale, la cosiddetta “retta” a carico degli ospiti e dei Comuni non la rimborsa nessuno. Se a questo aggiungiamo che in media viene occupato solo l’80% dei posti letto avremo il quadro completo della situazione. Per l’occupazione  un altro Titanic in avvicinamento.


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