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Nel corso degli ultimi 15 anni almeno, da Roma sono “partite” maggiori risorse che hanno finito per alimentare la sanità delle Regioni del Nord a scapito di quelle del Sud e, così, il divario è aumentato sia sotto l’aspetto delle risorse umane che quelle strumentali. Parallelamente, le liste di attesa dalla Sicilia alla Campania sono lievitate e dal Mezzogiorno i pazienti sono stati costretti a raggiungere gli ospedali di Lombardia, Emilia Romagna e Toscana per curarsi.

Eppure, nel corso degli ultimi anni, ad aumentare i passivi nei propri bilanci sono stati proprio Piemonte, Liguria, Toscana, è messo nero su bianco nei documenti ufficiali della Corte dei Conti, ad esempio nel “Rapporto 2019 sul coordinamento della finanza pubblica” si legge: “Nel 2018 i risultati di esercizio (senza considerare i contributi aggiuntivi disposti a livello regionale per la garanzia dei Lea) sembrano presentare un seppur limitato peggioramento: le perdite crescono, passando dagli 893 milioni del 2017 a poco più di 1.106 milioni”.

Il saldo è simile tra Regioni in piano di rientro (cioè quelle del Mezzogiorno) e quelle non in piano (quelle del Nord): le prime vedono crescere la perdita da 139,5 a 205 milioni; per quanto riguarda le seconde, il deficit complessivo passa dai circa 753 milioni del 2017 a poco più di 900 milioni. Però, “il peggioramento dei conti – evidenzia la Corte dei Conti – è da ricondurre soprattutto alle Regioni a statuto ordinario del Nord, che passano da un avanzo di 38,1 milioni del 2017 a un disavanzo di circa 89 milioni (un andamento essenzialmente dovuto a Piemonte e Liguria che presentano nel complesso un disavanzo di oltre 104 milioni) e alla Toscana (in deficit prima delle coperture per circa 32 milioni)”.

I numeri parlano chiaro e sono sotto gli occhi di tutti: la Toscana, il cui sistema sanitario viene elogiato e preso come esempio virtuoso, nel 2018 ha prodotto un passivo di 32 milioni circa; il Piemonte ha avuto un risultato negativo di 51,7 milioni; la Liguria ha coperto il disavanzo di 56,1 milioni con risorse iscritte nel bilancio 2019 per 60 milioni. Tutto questo nonostante dal 2012 al 2017, nella ripartizione del fondo sanitario nazionale, sei regioni del Nord abbiano visto aumentare la loro quota, mediamente, del 2,36%; mentre altrettante regioni del Sud, già penalizzate perché beneficiare di fette più piccole della torta dal 2009 in poi, hanno visto lievitare la loro parte solo dell’1,75%, oltre mezzo punto percentuale in meno.

Significa che, dal 2012 al 2017, Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana hanno ricevuto dallo Stato poco meno di un miliardo in più (per la precisione 944 milioni) rispetto ad Abruzzo, Puglia, Molise, Basilicata, Campania e Calabria. Ecco come è lievitato il divario tra le due aree del Paese: mentre al Nord sono stati trasferiti 1,629 miliardi in più nel 2017 rispetto al 2012, al Sud sono arrivati soltanto 685 milioni in più. Basterebbero questi dati – certificati dalla Corte dei Conti nella relazione sulla gestione finanziaria dei servizi sanitari regionali – per far emergere la disparità di trattamento tra due aree dello stesso Paese.

Ma possiamo aggiungerne altri: le disuguaglianze sono ancora più palesi se analizziamo la spesa pro-capite totale: per un pugliese, ad esempio, nel 2020 ha speso complessivamente 1.826 euro, contro i 1.918 riservati ad un emiliano o i 1.877 ad un veneto. Per ogni lombardo, lo Stato destina 1.880 euro; per un campano, invece, 1.827 euro. Ma peggio va ai calabresi, ai quale spetta appena 1.800 euro a testa, contro i 1.916 euro che “riceve” ogni friulano, i 1.935 euro di spesa pro capite del Piemonte o i 1.917 euro della Toscana.

Depauperate delle risorse economiche, le Regioni del Sud oggi si ritrovano con meno personale, meno soldi da spendere e macchinari più obsoleti. Nel confronto tra il 2010 e il 2020, l’incremento percentuale del Fondo sanitario nazionale premia sempre il Nord: negli ultimi 10 anni la Lombardia ha visto aumentare la propria fetta dell’11,4%, l’Emilia Romagna del 9,9%; 8,2% in più per la Toscana. La Basilicata, invece, ha avuto un incremento percentuale molto più modesto (+4,9%); l’Abruzzo del 6,7%; Calabria +5,7%; la Puglia e la Campania di circa l’8,1%.

Si dirà, le Regioni del Nord ricevono più soldi perché le spendono meglio. Falso mito. Tra il 2018 e il 2019, in Italia si è registrato un peggioramento del disavanzo nei conti del settore sanitario del 10 per cento: dai 990 milioni del 2018 si è passati a poco meno di 1,1 miliardi nell’esercizio appena concluso. Un peggioramento – certifica la Corte dei Conti nel Rapporto 2020 sul coordinamento della finanza pubblica – da ricondurre “in prevalenza alle regioni non in Piano e a statuto ordinario, che vedono ampliarsi il disavanzo dai 69,1 milioni del 2018 ai 165,5 del 2019”. I giudici contabili stanno parlando proprio delle Regioni del Nord.

Le differenze sono palesi anche sul numero di dipendenti a disposizione: in Puglia, dove si conta una popolazione di 4,1 milioni di abitanti, il personale sanitario a tempo indeterminato impegnato negli ospedali supera di poco le 35mila unità; in Emilia Romagna (4,4 milioni) i dipendenti sono invece oltre 57mila, in Veneto (4,9 milioni) quasi 58mila, in Toscana (3,7 milioni) sono quasi 49mila, in Piemonte (4,3 milioni) sono 53mila, non parliamo della Lombardia dove si sfiora le 100mila unità. La Campania, che fa 5,8 milioni di residenti, può contare soltanto su 42mila operatori sanitari, persino il Lazio (5,8 milioni di abitanti) ha appena 41mila dipendenti a tempo indeterminato al lavoro nella sua sanità. Se prendiamo in considerazione solamente la spesa per investimenti fissi nella sanità, lo scenario non cambia: dal 2010 in poi la spesa per edilizia e arredamenti sanitari sono diminuiti in tutta Italia, passando da 3,4 miliardi a 1,4 miliardi del 2017.

Ma, oltre a ridursi, la spesa per investimenti è stata del tutto squilibrata territorialmente: dei 47 miliardi totali degli ultimi 18 anni (2000-2017), oltre 27,4 sono stati spesi nelle regioni del Nord, 11,5 in quelle del Centro e 10,5 nel Mezzogiorno. In termini pro-capite, significa che mentre la Valle d’Aosta ha potuto investire per i suoi ospedali 89,9 euro, l’Emilia Romagna 84,4 euro, la Toscana 77 euro, il Veneto 61,3 euro, il Friuli Venezia Giulia 49,9 euro, Piemonte 44,1, Liguria 43,9 euro e Lombardia 40,8 euro; la Calabria ha dovuto accontentarsi di appena 15,9 euro pro-capite, la Campania 22,6 euro, la Puglia 26,2 euro, il Molise 24,2 euro, il Lazio 22,3 euro, l’Abruzzo 33 euro. Le provincie di Bolzano e Trento sono completamente fuori classifica, rispettivamente con 183,8 euro di investimenti all’anno per ogni loro cittadino e 116,2 euro.


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