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Il “caso” degli insegnanti del Sud: se lavorano al Nord non possono vaccinarsi perché non residenti

Regioni che vogliono chiudere, altre che aprono, altre ancora che aprono solo a metà. Governatori che emettono ordinanze, sindaci che le contestano, genitori che ricorrono al Tar. Ricordiamocelo questo plastico esempio di caos primordiale la prossima volta che si parlerà di autonomia differenziata.

Tra le varianti in circolazione ce n’è una che non si trasmette per contagio ma sta causando ugualmente disastri: la variante scuola. Il caos che, in assenza di una cabina di regia nazionali, viene causato da quei presidenti delle regioni che chiudono e aprono, tirano su e giù la saracinesca come se si stesse parlando di un supermercato e non di persone. Di quel rapporto dinamico tra maestri e discepoli, un insieme di relazioni che si apprende solo vivendo la scuola da dentro, in contatto con gli altri.

L’istruzione è appunto una di quelle materie in cui lo Stato passa la palla per il coordinamento e l’organizzazione territoriale all’ente locale. Si chiama devoluzione. Ci sono regioni che, non contente, avrebbero voluto avocare completamente a sé anche il reclutamento del personale privilegiando l’assunzione di insegnanti veneti o lombardi a seconda dei casi. Ma questo è un altro discorso.

L’APPELLO

Alessandro Rapezzi è il segretario nazionale della Flc-Cgil. Fiorentino, risiede a Roma, per un lungo periodo ha vissuto a Napoli.

Dice: «Non possiamo più permetterci di lasciare che siano i territori a governare, deve esserci un elemento regolatore. Serve una regia nazionale, con indicazioni nazionali». Non è in ballo solo la questione delle aperture. I temi critici in sospeso sono tanti. Una delle questioni più urgenti da risolvere è ad esempio – continua Rapezzi – quella del personale docente e non docente che non risiede nella regione in cui lavora. Specialmente gli insegnanti, la maggior parte dei quali provenienti dal Sud, sono rimasti esclusi dalla vaccinazione. Un fatto grave».

Che si aggiunge ai problemi che il personale non residente incontra per ottenere al termine della quarantena la certificazione necessaria per tornare in classe. Nella maggior parte dei casi viene chiamato un supplente. «Per tutte queste questioni – lancia un appello al ministro Bianchi il segretario della Flc Cgil – chiediamo la convocazione di un tavolo».

DAL 1° SETTEMBRE 220 MILA CATTEDRE VACANTI

Si dà il caso che anche la campagna vaccinale sia stata affidata alle regioni. Altro flop. «Manca un piano per il personale della scuola, non si parla delle private, non abbiamo dati certi sui contagi, sul tracciamento non è stato fatto alcun passo avanti», conclude Rapezzi.

Con la crisi di governo il mondo della scuola è entrato in una bolla. Tutto è rimasto sospeso. Il virus nel frattempo però è andato avanti. Il problema si pone oggi e si porrà con ancora più forza domani con l’ aggiunta di altri nodi che verranno al pettine.

Si parla tanto di cambiare il calendario, far terminare la scuola al 30 giugno ma non si dice che alla riapertura, il prossimo 1° settembre, ci saranno 220 mila cattedre vuote. Uno scenario desolante fatto di didattica a distanza (dad) e ore di buco.

Preoccupazioni e concetti che Francesco Sinopoli ,segretario della Flc-Cgil, ha trasferito nel recente incontro avuto con il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi.

«Ci sono interventi da attuare subito, primo fra tutti recuperare un governo nazionale del sistema di istruzione: non possono essere le regioni a decidere quando interrompere la scuola in presenza, quando fare la didattica a distanza e se affidare alle famiglie la scelta sulle frequenza. La scuola della Costituzione non può diventare scuola à la carte. E ancora: dobbiamo ripartire da una guida nazionale aggiornando i protocolli sulla sicurezza fermi al 6 agosto scorso e cercando di centralizzare per quanto più è possibile la campagna vaccinale per il personale scolastico. Per fare ciò dobbiamo avere dati certi sui contagi nelle scuole in base ai quali prevedere eventuali interventi differenziati».

I ministri agli Affari Regionali Gelmini e all’Istruzione Bianchi porteranno nei prossimi giorni un un parere tecnico del Comitato tecnico scientifico sulla situazione nelle scuole. Nel frattempo, ci sono istituti, ad esempio quelli di Castellammare di Stabia, dove il portone non mai stato riaperto o al massimo si sono fatti 2 o 3 giorni di lezioni in presenza. Apertura ritarda il 24 ottobre, chiusura dopo due giorni e poi di nuovo breve apertura. Un ping pong estenuante.

LO SCERIFFO CHIUDE

Dovremo dunque rassegnarci alle intermittenze dei governatori. Vincenzo De Luca, «lo sceriffo» che guida la regione Campania ha annunciato ieri di Facebook (un tempo si scriveva al ministero di via XX Settembre che poi inviava le circolari) che le scuole si riapriranno solo quando verrà completato il piano di vaccinazione del personale.

«Abbiamo prenotazione, al 25 febbraio, per 114 mila unità – ha scritto De Luca – ad oggi si sono vaccinate 28 mila persone, abbiamo 142 mila dosi di Astrazeneca a febbraio e 164 mila per il prossimo mese, dunque abbiamo la possibilità di completare la vaccinazione del personale scolastico per marzo. Oggi siamo obbligati a prendere misure drastiche, da lunedì chiudiamo tutte le scuole, abbiamo registrato, specie a Napoli, la presenza di variante inglese. Non credo che dobbiamo aspettare che ci sia una epidemia di Covid anche fra i ragazzi di 10, 15 e 18 anni, con buona pace di qualche comitato sempre pronto a fare ricorsi al Tar».

A proposito di ricorsi. Il bollettino segnala l’ennesima sentenza del Tar, in questo caso pugliese, che ha rigettato il ricorso di un gruppo di genitori baresi contro l’ultima ordinanza delle Ragione. Disponeva la didattica integrale digitale al 100% fino al 5 marzo per tutti gli istituti di ordine e grado riservando la presenza solo per i laboratori e per l’inclusione di alunni con disabilità e bisogni educativi speciali.

Il presidente Emiliano aveva motivato la decisione di chiudere le cause con l’esigenza di vaccinare il personale scolastico. Un contro-ricorso è già pronto. E il gatto si morde di nuovo la coda.


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