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Per la Sanità, il PNRR del Governo Conte è da riscrivere. Occorre un cambio di passo urgente, in due tempi. Nel breve periodo, per fronteggiare la terza ondata pandemica. E nel medio lungo, per un “new deal” del Sistema Sanitario Nazionale, che dovrà essere nazionale: una vera “rivoluzione copernicana”, con risorse “chiare, ora incerte”.

La pensa così la Fismu, la Federazione italiana sindacale medici uniti, con forte presenza in Calabria, Sicilia, Campania, Puglia, Molise, Abruzzo e Sardegna, ma anche in Lombardia ed Emilia Romagna.

“Con le diverse misure di quarantena attive in tutte le Regioni, non si può passare, di nuovo, da emergenza a emergenza, servono interventi seri, con tutti gli strumenti economici disponibili, a partire del Recovery, per un’efficace iniziativa sul breve periodo ma anche per mettere le basi per un vero e proprio “new deal” della sanità pubblica italiana”.

Il segretario generale Fismu, Francesco Esposito

Il Recovery Plan, ha spiegato la FISMU durante l’Audizione informale dello scorso 12 febbraio alla Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati “risulta in diversi punti inidoneo ad affrontare non solo questa emergenza ma anche a raccogliere la sfida di una trasformazione strutturale del nostro Servizio Sanitario Nazionale.

Un SSN che “allo ‘stress test’ dell’epidemia ha mostrato tutte le sue criticità strutturali”. Criticità stigmatizzate in otto punti: 1) decennale assenza di investimenti; 2)malinteso federalismo nella governance sanitaria nelle Regioni; 3) mancanza di personale, di posti letto, e di unità di cure intensive; 4) fragilità del territorio e della rete di ambulatori di cure primarie e di continuità assistenziale e dell’emergenza urgenza, ovvero il 118; 5) deficitaria programmazione del fabbisogno di professionisti nell’accesso e la formazione. E ancora: 6) giungla di contratti e convenzioni che regolano la categoria e spesso la impoveriscono sul piano delle tutele e delle garanzie, come accade per molti medici convenzionati del 118 in diverse regioni o per le migliaia di “camici grigi”, medici che pur non avendo i titoli ufficiali di specializzazione o di formazione di medicina di base, perché non vi hanno potuto accedere, già lavorano da molti anni, assicurando la copertura di molti servizi medici; 7) precariato cronico che attanaglia ogni settore dei nostri servizi sanitari; 8) mancanza di politiche e risorse sull’edilizia ospedaliera e nel territorio, soprattutto nel Mezzogiorno, e di messa in sicurezza sia del personale, non solo medico, sia delle strutture.

“I medici negli ambulatori, nelle corsie, nelle ambulanze, nei pronto soccorso, vogliono risposte serie, non grida manzoniane”, dichiara il segretario generale FISMU, Francesco Esposito. “Occorre riprendere l’iniziativa nei confronti del virus cambiando l’attuale situazione organizzativa sanitaria, soprattutto nella prima linea, oltre che nelle strutture ospedaliere, con più posti letto e più personale”. Nella battaglia contro l’epidemia non si può arrivare disarmati all’arrivo della terza ondata e non basta il contenimento della diffusione del Coronavirus, anche grazie alla campagna di vaccinazione, da implementare e potenziare. Lo Stato dovrebbe usare tutte le risorse disponibili, umane e sanitarie.

L’INSPIEGABILE SCELTA DI ARCURI

“Per gestire l’emergenza, anziché richiamare in servizio i medici pensionati come ha fatto il Commissario per l’emergenza Arcuri – dice il segretario Generale FISMU – si sarebbero potuti estendere i contratti previsti per legge, mettendo in campo medici più giovani, attivi nella medicina dei servizi, immediatamente disponibili, risparmiando anche risorse economiche.

Il reclutamento dei medici in pensione è stato demandato alle società interinali, con un budget di competenza per le stesse di circa 25 milioni di euro, sul totale complessivo di 500 milioni di euro per assumere tremila medici e circa 9 mila infermieri. Oltre a intervenire con l’estensione degli orari dei medici a contratto o con contratti a ore per chi opera nella medicina dei servizi, con procedura veloce e rapida, avremmo potuto ricorrere ai quasi dodicimila medici, i camici grigi, che lavorano in maniera precaria nell’SSN, sia in ospedale che nella medicina convenzionata, contrattualizzandoli. Non capisco perché non investire in tempi di emergenza Covid su queste risorse” conclude Esposito.

IN CALABRIA UNA STRUTTURA MODELLO

Se la situazione organizzativa è critica per la sanità in Italia, al Sud lo è ancor di più. “Nel Meridione – afferma Esposito – continuiamo ad avere criticità più forti che in altre parti d’Italia. Quasi tutte le regioni sono state soggette ai piani di rientro, ovvero al blocco del turn-over. Non siamo riusciti a sostituire neanche i medici in pensione. Tuttavia – aggiunge – il premier Draghi, nelle sue intenzioni programmatiche ha osservato che quando si riducono i posti letto negli ospedali, occorre riformare la Sanità sul territorio. Se non si fa questo, assistiamo a quello che sta succedendo con la pandemia”.

Sulla medicina territoriale, osserva Esposito, che è medico di base nell’UCCP – Unità Complessa di Cura Primaria – di Catanzaro , “c’è bisogno di spendere, e di spendere bene. Urge una riforma. La politica – continua – dovrebbe ricordarsi di trattare la Calabria da ventesima regione e non da colonia. Chi arriva dice che bisogna far rispettare la legalità, principio ineludibile. Ma occorre garantire anche la sanità. A noi servono manager esperti, capaci di riformare la Sanità.

Nella vituperata Calabria abbiamo le UCCP – Unità Complesse di Cura Primaria – dove medici di famiglia, medici della continuità assistenziale e medici specialisti lavorano insieme, h24. Hanno la presa in carico dei pazienti fragili, dei codici bianchi, fanno uso di telemedicina e hanno dotazioni per fare Ecg immediate ed altri accertamenti. I nostri cittadini non vanno più in ospedale, ci vanno solo per i casi gravi.

È una sperimentazione che in cinque anni ha dimostrato di essere valida dal punto di vista economico, con una significativa riduzione degli accessi in pronto soccorso e dei costi di ricovero. Il modello di Catanzaro si sarebbe dovuto estendere a tutta la regione Calabria e non ci siamo riusciti”.

LE PROPOSTE A BREVE PER IL PNRR

Dieci. Tante sono le azioni che inciderebbero sul contenimento della pandemia. Vanno da una regia nazionale sulla campagna vaccinale, da utilizzare anche per l’anti- influenzale, reclutando tutti i medici, a partire dai MMG, con l’uso di protocolli nazionali univoci e l’utilizzo di supporti informatici, come il fascicolo sanitario elettronico, fino a una Cabina di regia nazionale per tutte le azioni di emergenza del Paese.

Oltre all’aumento strutturale del personale, attraverso i vari tipi di contratti, e al ricorso ai giovani medici, sia con precisi compiti di supporto nelle varie realtà di medicina sul territorio, sia per aiutare nella raccolta di tamponi rapidi, occorre fornire ai MMG personale di studio e infermieristico, così come alle UCCP, e strumenti adatti a eseguire il telecontrollo dei pazienti.

La riapertura della Medicina Scolastica e di quella di sostegno ai Dipartimenti di Prevenzione e alla Medicina del Lavoro, come pure la presenza di almeno una Unità Sanitaria di Continuità Assistenziale in ogni Distretto Sanitario di Italia sono un altro tassello. Infine, ricette, impegnative e comunicazioni sanitarie dematerializzate per gli anziani.

MISURE PER IL NEW DEA DEL SSN

Nel PNRR non serve una “spolveratina di cipria”, bensì urge affrontare emergenza e cronicità, che impattano sulla quotidianità dell’assistenza sanitaria e dei servizi erogati ai cittadini. Il modello è ormai superato e merita una stagione di riforme. Occorre un SSN nazionale e pubblico. “La regionalizzazione del SSN, figlia di un malinteso federalismo sanitario, ha portato a forti differenze da regione a regione” – si legge nel documento.

Bisogna cambiare, a partire dalla medicina di famiglia, concepita quarant’anni fa, a fronte di un quadro epidemiologico e demografico caratterizzato da una popolazione giovane e ‘sana’. Allora, la speranza di vita non superava i 75 anni. Oggi lo scenario è profondamente mutato: si vive più a lungo e si vive meglio, “ma la cassetta degli attrezzi” della medicina del territorio è rimasta quella di quarant’anni fa.


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