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Roberto Formigoni e Roberto Maroni

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La delibera delle Regole e il regno formigoniano sono stati l’inizio del disastro sanitario lombardo. Poi a peggiorare il tutto è intervenuta anche la sperimentazione voluta da Roberto Maroni. Ma per capire come mai la miglior sanità italiana sia quella ad aver retto peggio le ondate di Sars-Cov-2, bisogna addentrarsi nei meandri della burocrazia e conoscere le peculiarità del sistema lombardo: per citarne una, l’assessore al Welfare più potente d’Italia è senza portafoglio pur essendo in teoria responsabile di 20 miliardi all’anno di spese.

E questi giorni sono l’occasione giusta perché la legge regionale 23 che regolava la sanità lombarda è scaduta, va riscritta in breve tempo perché per discutere del bilancio regionale non si può prescindere dal capitolo salute che ne assorbe gran parte. Un tema tanto importante che la Commissione Sanità regionale ha tirato un pesante schiaffone politico alla giunta annunciando ufficialmente la calendarizzazione del percorso di revisione della norma: il presidente leghista e il vicepresidente forzista della commissione hanno sottoscritto una lettera con le opposizioni che dà alla giunta un mese di tempo per cominciare a sentire le varie componenti del sistema sanitario per procedere alla riscrittura della legge.

“In questo modo la legge verrà modificata a partire dalle istanze dei rappresentanti del sistema sanitario regionale e si concentrerà sugli aspetti da rafforzare in considerazione delle mutate condizioni del sistema – ha spiegato Emanuele Monti, presidente leghista della commissione – e sullo sblocco di assunzioni e fondi per sviluppare la medicina territoriale”. Quindi l’assessore deve adeguarsi, oppure il Consiglio andrà avanti per i fatti suoi.

E vogliono partire dalla medicina territoriale. Proprio quella massacrata dagli ultimi vent’anni di modello Formigoni poi peggiorato da Maroni con una riforma che ha schivato “l’incostituzionalità grazie alla definizione di sperimentazione” sottolinea Gregorio Mammì, consigliere regionale dei 5 Stelle e membro della commissione sanità.

 È stato infatti con Formigoni che il sistema lombardo ha cambiato passo imperniandosi sulla delibera delle regole: un tomo di circa 400 pagine che stabilisce alcune direttive importantissime come “la suddivisione territoriali delle Ats e delle Asst – elenca Mammì – l’analisi dei risultati dell’anno precedente che di solito si fa a dicembre per decidere come orientare i fondi per i mesi successivi, ma anche come si decidono gli appalti: ad esempio stabilisce che i contratti li decide il direttore dell’Ats con il risultato che abbiamo alcune zone in cui sono forti alcune specialità e assenti in altre, un meccanismo che ha generato anche un travaso di manager dal pubblico al privato su cui forse dovremmo interrogarci  – prosegue Mammì – le faccio un esempio: nella zona sud di Milano manca un’emodinamica pubblica, quindi chi ne ha bisogno va al Monzino, ora il direttore generale di quell’ospedale era uno di quelli che faceva programmazione per Regione”.

Ma la delibera delle regole decide anche molto altro: come le normative per l’approvvigionamento, quali piattaforme utilizzare, l’analisi dei tempi di attesa e l’importante capitolo delle extra tariffazioni. Quest’ultima infatti può servire a orientare le scelte delle aziende ospedaliere: “Se per una certa prestazione fino a ieri rimborsavamo 100 euro come Regione – spiega Mammì – decidendo di darne 200 possiamo spingere l’ospedale a concentrarsi su quella prestazione”.  Ma anche la scelta delle piattaforme è fondamentale perché è quella che ha contribuito al caos lombardo sui dati: ciascuna autorità territoriale ne aveva una sua, creando non poche difficoltà a Regione per uniformare i numeri da comunicare a Roma. 

Tutte queste decisioni, comprese quelle relative a decine e decine di programmi specifici sono concentrate nelle mani della giunta. Che vorrebbe continuare come in passato presentando all’ultimo la delibera che il Consiglio dovrebbe approvare di fatto scatola chiusa. Però i danni sono stati troppi, tanto che dalla stessa maggioranza che sostiene Fontana e Moratti è arrivato l’ultimatum e la dichiarazione chiara della volontà di ricostruire la medicina del territorio. Perché al momento il tentativo di centralizzare tutto sugli ospedali è stato un fallimento se non per i ricchi: la “sperimentazione Maroni” aveva l’ambizione di ospedalizzare anche i malati cronici, ma non sembra aver toccato minimamente le stelle a cui aspirava. “Hanno mandato tre milioni di lettere – calcola Mammì – ma sono riusciti a completare la presa in carico solo del 7-8 per cento dei cronici, per quanto come sottolineato da Agenas per questa piccola percentuale il servizio è migliorato”.

 Il sistema in generale è ancora troppo per pochi: “L’altro giorno ho chiamato l’ospedale di Legnano per prenotare una visita e nonostante la prescrizione imponesse la visita entro 30 giorni mi hanno dato ottobre come disponibilità – racconta Mammì – invece chiedendo l’intramoenia (cioè pagando privatamente ndr) potevo farlo il giorno dopo”.


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