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Peggio di Gran Bretagna, Stati Uniti, Brasile. I dati sui decessi per Covid sono impietosi con l’Italia. Dall’inizio dell’epidemia il nostro Paese ha avuto una moltitudine di lutti: 115.088 le persone che non ce l’hanno fatta, ossia circa 1.906 ogni milione di abitanti. Una cifra che pone l’Italia tra i Paesi al mondo che hanno pagato il prezzo più alto in termini di vite umane. Davanti a noi, tra i membri dell’Unione europea, figurano Repubblica Ceca, Ungheria, Bulgaria, Belgio, Slovenia e Slovacchia. Ma alle nostre spalle si collocano Paesi che pure hanno passato periodi molto difficili a causa del virus: la Gran Bretagna segue di una posizione in classifica l’Italia con 1.865 vittime ogni milione di abitanti, gli Stati Uniti 1.734, il Brasile 1.661. Su questi dati italiani incide quanto avvenuto in Lombardia, che a metà marzo scorso faceva registrare 2.920 morti ogni milione di abitanti.

È vero che l’Italia è stato il primo Paese occidentale ad essere investito dall’ondata del Covid. Ma anche questa giustificazione, a oltre un anno dall’inizio della pandemia, inizia a scricchiolare. I decessi giornalieri, infatti, continuano a raggiungere cifre elevate, nel Belpaese più che altrove. Suscita un’impressione notevole verificare che il numero di vittime del Covid comunicato dal bollettino quotidiano è in alcuni giorni persino più alto di quello che si registrava in Italia un anno fa, quando eravamo in pieno lockdown, con meno conoscenze epidemiologiche e terapeutiche e senza vaccini. Qualche esempio? Il 16 marzo 2020 si erano contate 349 vittime del Covid, il 16 marzo 2021 sono state 502; il 7 aprile di un anno fa erano state 604 le persone decedute, il 7 aprile 2021 il numero ammonta a 627.

Queste cifre fanno riferimento alle sole vittime dirette del virus. Non è disponibile, al momento, un quadro sugli effetti sanitari collaterali della pandemia: sono ormai innumerevoli gli allarmi lanciati da medici specialistici sulla ridda di visite e operazioni saltate a causa della pandemia. Giusto per avere un elemento eloquente: nel settembre scorso è stato pubblicato uno studio del Registro europeo Covid (Isacs-Stemi Covid-19), secondo cui la pandemia in Italia potrebbe aver fatto incrementare di oltre 20mila il numero di morti per infarto. Il motivo sarebbe da ricercare nella riluttanza delle persone, per paura di contrarre il virus, a recarsi in ospedali, cliniche e pure nei pronto soccorso, anche laddove ce ne sia assoluta necessità.

Ad ogni modo, che la situazione dei decessi dovuti direttamente al Covid in Italia resti critica lo testimonia anche l’Ecdc (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie): nelle due settimane a cavallo tra marzo e aprile, in Italia si sono registrati 102,08 decessi ogni milione di abitanti. Per avere qualche ordine di paragone, in Francia sono stati 64,96, in Spagna 47,32, in Germania 27,64. Eppure il numero di vaccinazioni somministrate è pressoché analogo: al 13 aprile in Spagna hanno ricevuto le due dosi 6,65 persone ogni 100 abitanti, in Italia 6,62, in Germania 6,11, in Francia un po’ meno, 5,7. Torna di stretta attualità, allora, la questione dei criteri di priorità utilizzati.

Nel nostro Paese, del resto, quasi il 40% dei vaccinati appartiene alla fascia d’età tra i 20 e i 60 anni (dato del fine settimana scorso), nonostante, come rileva su “Quotidiano Sanità” il prof. Fabrizio Gianfrate, professore di Economia sanitaria, l’87% della mortalità da Covid riguardi gli ultrasettantenni. Ecco allora che diventa indispensabile neutralizzare i “saltafila” del vaccino. Ma è altrettanto importante uniformare l’indice di priorità favorendo anziani (in Italia gli over65 sono il 22% della popolazione, contro il 20,3% medio dell’Unione europea) e fasce di popolazione fragili.

Lo ha ribadito il presidente Draghi: vaccinare chi è più vulnerabile al virus è propedeutico alle riaperture. E questa è un’altra nota dolente dell’Italia, la quale, ad oggi, è uno dei Paesi europei che ha adottato le misure più restrittive. Mentre qui monta la rabbia sociale di commercianti, ristoratori, baristi, operatori turistici ed esercenti vari per le reiterate chiusure, a Madrid, ad esempio, sono aperti ristoranti, bar e cinema. Eppure nella capitale spagnola, dove la vita sociale è di nuovo pulsante quasi come lo è stata fino al febbraio 2020, si hanno meno vittime di Milano.

Come riportato dal “Corriere della Sera”, tra ottobre 2020 e marzo 2021 in Lombardia si sono contate 136 vittime ogni 100mila abitanti, a Madrid 98. Le maggiori chiusure hanno inoltre avuto un impatto negativo a livello economico: la Lombardia ha perso il 9,8% del proprio Pil contro una media nazionale dell’8,9%, Madrid ha registrato un vantaggio di 0,7 punti percentuali rispetto alla media spagnola. Forse che altrove le chiusure sono state più intelligenti e i mezzi pubblici sono meno affollati? Sul tema delle misure adottate è intervenuto il fisico Roberto Battiston, che in un’intervista al “Corriere della Sera” ha rilevato che l’Italia, a differenza di altri Paesi, calcola le riaperture delle Regioni basandosi sull’Rt, il parametro che stabilisce il grado di contagio del virus, e non tiene conto del numero degli infetti attivi. E questo potrebbe essersi rivelato un (altro) errore fatale.


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