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Navigli affollati all'ora dell'aperitivo

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Assieme al colore della regione, per i milanesi è cambiato anche quello dell’umore. Tutti si godono una ritrovata libertà che sembra preludere alla fine di un incubo chiamato “Covid”, e mentre pochi giorni fa era la curva dei contagi ad essere attenzionata, adesso è quella dei sorrisi di chi, senza mascherina, si riversa nei luoghi della movida per ripopolarli. Nei mesi addietro, piazze e stradine di Milano somigliavano a necropoli abbandonate, ma la situazione è cambiata alla vigilia del cambio di colore, quando i più hanno festeggiato un prematuro ritorno alla normalità.

PRESA DIRETTA

Domenica scorsa, per documentare la situazione, siamo andati in uno dei luoghi di ritrovo preferiti dai giovani: le Colonne di San Lorenzo, non lontano dai Navigli. Senza dare troppo nell’occhio ci siamo mescolati ai presenti per ricavare le loro impressioni spontanee.

Le sorprese sono cominciate già da quando, presso un bar che aveva allestito un gazebo all’aperto, abbiamo ordinato un Campari Soda; dopo una fila di dodici minuti ci hanno chiesto di scegliere qualcos’altro in quanto, a quel drink come a tanti altri, era stato già dato fondo dai numerosi avventori: non erano ancora le 17.

Abbiamo così optato per uno spritz che ci è stato servito senza scorza d’arancia, altra grande defunta di una giornata di fermento.

Seduti sui gradini della basilica abbiamo osservato il viavai di gente talvolta assembrata, e la cosa che ci ha sorpreso di più è che, per la prima volta dopo tanto tempo, non v’era chi storceva il naso dinanzi a quello spettacolo di vita, neppure gli anziani che attraversano la piazza a braccetto.

LA TOLLERANZA

Insomma, a Milano, nessuno si sente più in diritto di biasimare nessuno, e perfino chi per mesi si è reso fautore del tormentone “restate a casa”, adesso si volge con comprensione a coloro i quali, a casa, non intendono più starci.

La mestizia di un intero anno, quel pomeriggio, veniva esorcizzata a suon di risate che echeggiavano vibranti, mentre a ogni minimo colpo di tosse, tra urla e schiamazzi, seguivano puntuali battute come: «Ecco il Covid!», come a significare che i milanesi hanno ormai deposto le armi dell’indignazione per imbracciare quelle dell’ironia, fiduciosi che quest’ultima, assieme al vaccino, aiuti a ristabilire le sorti di una città messa in ginocchio da troppo tempo.

Tra un drink e una risata, forse, si provava a dimenticare che la sconfitta della pandemia non costituirà la fine del dramma, bensì l’inizio di una lenta uscita da una crisi i cui numeri fanno  tremare.

In un anno sono 20mila i nuovi occupati in meno a Milano, e tra il 2019 e il 2020 sono stati persi posti di lavoro pari all’1,3% del totale. La disoccupazione giovanile è salita al 22%, invertendo il trend dopo cinque anni. Opinione comune è che il clima di disincanto generale degli ultimi 13 mesi, abbia contribuito a generare nei fanciulli una sfiducia tale da renderli inattivi e spegnerne l’entusiasmo.

Un entusiasmo che, al di là di qualsivoglia ipocrisia, nei più giovani è alimentato anche dai diversivi che attengono alla loro età: i ritrovi con gli amici, una serata in pizzeria e un weekend fuoriporta. Chiedere di rinunciare a tutto questo per un tempo circoscritto a un mese comporta un sacrificio sostenibile da chiunque, ma quando si supera addirittura l’anno, è comprensibile che le sottrazioni lascino conseguenze tangibili.

LE PRIORITÀ

A conti fatti, per i giovani milanesi la priorità sembra essere non tanto tornare a lavorare, quanto ricominciare a vivere, e lo testimonia il fatto che coloro che perdono il lavoro rinunciano a cercarne uno nuovo. Nella maggior parte dei casi non è certo per negligenza che vengono liquidati: molti perdono l’occupazione a causa della sospensione degli stage e dei contratti di apprendistato.

Forse è questo il motivo per cui, verso i fanciulli che oggi fanno tanta baldoria in nome di una riscoperta libertà, c’è molta tolleranza; inveire su di loro e denunciarne la “dissennatezza” appare a molti come sparare sulla Croce rossa.

Ma non solo i ventenni. A essere provato è il milanese medio, il quale ha cominciato a fare i conti con la crisi sanitaria anzitempo rispetto a tanti suoi connazionali. Prima dello stop generale di febbraio 2020, il capoluogo meneghino aveva conosciuto uno dei suoi periodi più aurei, con quasi 11 milioni di visitatori in città, e ci si chiede in quanto tempo (e soprattutto se) si tornerà a sfiorare quelle quote.

“Andrà tutto bene” è stata a lungo un’aspettativa, ora è necessario che diventi una realtà.


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