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LE DUE Italie sono sempre più distanti. L’emergenza pandemica ha dato il suo contributo, in particolare nel settore sanitario, all’aumento del divario tra il Nord e il Sud. Una dura batosta stando a quanto emerge dal “Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica” della Corte de Conti.

Nonostante ciò, secondo i giudici contabili “il sistema sanitario italiano, nonostante le difficoltà incontrate, ha retto all’impatto della crisi che dal marzo del 2020 ha interessato il nostro Paese”. I “distacchi” tra Nord e Sud balzano agli occhi non solo per spesa sanitaria e assunzioni nelle strutture ospedaliere, ma anche per quanto riguarda gli investimenti degli enti locali per la lotta alla povertà.

SOS IMMISSIONI

Infermieri di famiglia e comunità per implementare un nuovo modello di assistenza domiciliare anche durante la pandemia per pazienti covid e non covid: ancora a rilento l’immissione nel sistema. Il decreto Rilancio ne ha previsti 9.600 a maggio 2020, per il primo anno con contratti flessibili e dal 2021 assunti a tempo indeterminato: finora sono in servizio solo in 1.132, l’11,9% delle previsioni. La Corte dei conti parla chiaro: 747mila ricoveri in meno e 145 milioni di prestazioni ambulatoriali per i pazienti non Covid saltati per la pandemia e non ancora recuperati, visto che delle risorse stanziate per farlo è stato utilizzato solo il 62% (in alcune Regioni anche meno del 20%). E dei 32mila infermieri impegnati nell’emergenza (soprattutto in ospedale), la maggior parte sono a tempo determinato: il 27,4% hanno avuto un contratto stabile.

IL MONITORAGGIO DEI LEA

Nel 2020 è proseguito il monitoraggio dei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea) e sono stati diffusi i dati, provvisori, relativi all’esercizio 2019. In base all’indicatore complessivo, che riassume in modo aggregato lo stato di adempienza nei vari livelli di assistenza, si collocano oltre la soglia minima (160) cinque regioni in Piano di rientro: al di sopra di 200 Abruzzo e Lazio, 193 la Puglia, stazionarie Campania (168) e Sicilia (173). In netto peggioramento la qualità dei servizi resi in Calabria e in Molise che, con un punteggio pari a 125 e 146 (162 e 180 nel 2018), risultano inadempienti secondo la “Griglia” Lea.

Per quanto riguarda le regioni non in Piano, esse presentano un punteggio complessivo superiore alla soglia, con valori compresi tra i 172 punti della Basilicata (in peggioramento rispetto al 2018 quando aveva registrato 191) e i 222 di Veneto e Toscana e 221 dell’Emilia-Romagna. Sopra alla media delle nuove assunzioni invece ci sono solo sei regioni: l’Emilia-Romagna e la Campania (rispettivamente con il 19,9 e il 18,9 per cento), la Puglia (al 17,7 per cento), l’Abruzzo (16,2 per cento), il Lazio (14,8 per cento) e la Toscana (14,2 per cento). Di un certo peso sono le differenze tra aree territoriali. Nel Nord-ovest risulta sopra la media la quota dei medici e soprattutto di quelli abilitati ma non specializzati (che rappresentano il 38,2 per cento di questi operatori).

Sono molto limitate le assunzioni a tempo indeterminato (circa il 3,1 per cento del totale). Nel Nord-est e nel Centro cresce in misura rilevante il peso degli infermieri sul totale degli operatori a cui le regioni hanno fatto ricorso (rispettivamente il 41,8 e il 42,2 per cento del personale). Aumenta nel Centro, ben al di sopra della media nazionale, la quota dei medici con contratto a tempo indeterminato (il 10,4 per cento) ma sale soprattutto, seppur con una qualche variabilità tra regioni, la quota media di quello infermieristico che nelle due aree è stato assorbito stabilmente (rispettivamente al 44,5 e al 52,5 per cento).

Nelle regioni del Mezzogiorno si riduce il peso dei medici (poco più del 18,8 per cento), ma cresce di molto la quota di quelli con un contratto a tempo indeterminato (il 16 per cento). Nonostante invece il forte rilievo del personale infermieristico tra quello su cui si è basato il potenziamento delle risorse umane impiegate per rispondere alla crisi (il 42,6 per cento del totale), solo per l’8,5 per cento il rapporto instaurato è a tempo indeterminato. Nelle Isole la quota di incremento maggiore ha riguardato le altre professioni sanitarie (il 43,3 per cento) mentre medici ed infermieri presentano quote simili. In tutti i casi tuttavia limitatissimo è il rilievo dei rapporti a tempo indeterminato.

POVERTÀ

C’è una “forte disomogeneità territoriale dei valori pro-capite”. Nell’ambito del contrasto della povertà, un ruolo molto importante deve essere svolto dai servizi sociali dei Comuni, che in Italia sono, storicamente, il veicolo tramite cui si erogano servizi fondamentali. Estremamente diversa, tuttavia, è la capacità di attivazione di spesa: infatti a fronte dei 116 euro medi pro capite, si va dai 22 della Calabria ai 517 della Provincia autonoma di Bolzano. Quanto ai Centri per l’impiego, limitato è stata finora il contributo nella ricerca di un’occupazione. Importante quindi il loro rilancio, che richiederà tempi certamente non brevi.

Al Sud si concentra il maggior numero di famiglie in stato di povertà assoluta: il 9,3% del totale, contro il 7,6% del Nord e il 5,5% del Centro. I numeri, però, ci dicono che al Settentrione i comuni investono risorse maggiore nel contrasto alla povertà. In Trentino Alto-Adige, mediamente, i Comuni spendono per la lotta alla povertà 33 euro pro-capite, nella ricca provincia di Bolzano 36 euro, a Trento 37 euro, in Friuli Venezia Giulia 45 euro. Irrisori gli stanziamenti al Sud. In Campania si spende 5 euro, in Puglia 10 euro, in Calabria 3 euro, Basilicata 6 euro, Sicilia 6 euro per cittadino. Così come a riservare nei bilanci dei comuni più fondi per gli anziani sono sempre le regioni del Nord. Si passa dalla provincia di Bolzano, dove la spesa sale addirittura a 1.276 euro pro capite agli appena 21 euro della Calabria.

Anche sul fronte degli asili nido la differenza è sostanziale tra le due aree dell’Italia. In base ai dati relativi all’anno educativo 2018/19, i posti disponibili sono arrivati a 25,5 ogni 100 minori, una crescita che risulta ancora troppo lenta rispetto agli obiettivi europei dei 33 posti ogni 100 bambini ma che al Sud è ancora meno incisiva. Ai primi posti si collocano Valle d’Aosta (45,7%, cioè quasi 1 posto nei servizi socio-educativi per la prima infanzia ogni 2 bimbi residenti), Umbria (42,7%), Emilia Romagna (39,2%) e Toscana (36,2%). Al Sud, ad eccezione della Sardegna che supera la media nazionale (29,3%), vanno oltre la soglia del 20% (ovvero più di un posto ogni 5 bambini) Abruzzo e Molise, mentre Puglia e Basilicata si attestano poco sotto il 17% e con maggiore distanza si collocano Campania (11%), Sicilia (10%) e Calabria (9,4%).

Tutte le province emiliane e romagnole (tranne Piacenza, che è comunque al 25,8%), superano i 33 posti ogni residente tra 0 e 2 anni. In Toscana 6 province superano la soglia del 33%, una (Arezzo, 32,7%) l’ha praticamente raggiunta e le altre 3 sono poco sotto, con dati superiori al 29%. Di contro, sono tutte meridionali le 8 province che non raggiungono un posto ogni 10 bambini residenti: Trapani (9,7%), Napoli (8,9%), Ragusa (8,7%), Catania (8,1%), Palermo (8%), Cosenza (7,7%), Caserta (6,6%), Caltanissetta (6,2%). Dopo la drastica caduta subita dall’economia italiana, passata dal +0,3 % di crescita del Pil nel 2019 al –8,9 % del 2020, la Corte dei Conti si dice ottimista. Grazie anche alle misure adottate dal Governo, “le prospettive di breve e medio termine delineate nel Def appaiono alla portata del nostro Paese”.


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