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Il ministro per la Salute Roberto Speranza

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SI FANNO chiamare governatori ma si sentono anche un po’ virologi. Scienziati occasionali in grado di decidere se e come fare la secondo dose, se e come aprire alle fasce d’età, se dare via libera agli open day, se privilegiare gli anziani o i più giovani, che uso fare di AstraZeneca. Se inoculare il vaccino in vacanza in offerta speciale o lasciarlo deperire in freezer. L’importante è fare prima di tutti gli altri, vincere la corsa delle fiale, poter dire alla fine «siamo stati i più bravi».

Come il dottor Stranamore hanno imparato a non preoccuparsi e ad amare la bomba. E finora glielo abbiamo lasciato fare. Persino il generale-alpino Figliuolo in alcune situazioni per quieto vivere ha scelto la strada del compromesso. E così loro, i presidenti delle regioni, imperterriti continuano a godere di un potere praticamente illimitato senza che nessuno glielo abbia conferito. Se lo sono preso. Forse perché, a differenza del capo dello Stato e del presidente del Consiglio, per un vulnus del nostro sistema democratico, pensano che essere stati eletti dal basso voglia dire fare come gli pare e non dover rispondere di niente a nessuno. E sarà per questo, per questa strana forma di auto-investitura, che ad ogni pie’ sospinto salgono su un piedistallo e decidono la qualunque. Sbagliando.

L’ultimo caso che li ha visti contrapposti alla cabina di regia nazionale è il mix vaccinale. Ovvero la possibilità di somministrare una seconda dose diversa dalla prima. Tema di stretta competenza delle comunità scientifica. Ma anche su questo, sulle questioni prettamente scientifiche anziché fungere da meri esecutori hanno voluto dire la loro. Risultato: l’ennesimo scontro Stato-Regioni

SPERANZA BATTE I PUGNI SUL TAVOLO

«Sulle questioni di natura sanitaria le evidenze scientifiche vanno rispettate da tutte le  Regioni. Le nostre indicazioni sono di natura perentoria e devono essere seguite», è stato costretto a battere i pugni sul tavolo il ministro alla Salute, Roberto Speranza. Per indurre Vincenza De Luca a fare marcia indietro sono proseguiti ieri per tutta la giornata li contatti con la Regione Campania. «Non è un dibattito politico ma quello che dicono i nostri scienziati deve essere seguito erga omnes», ha chiarito Speranza.

Le indicazioni confuse su AstraZeneca nel corso delle ultime settimane hanno generato sfiducia: «Con grande onestà e trasparenza voglio dire che la comunità scientifica internazionale ha dato indicazioni sul vaccino che sono cambiate con il passare delle settimane sulla base delle evidenze scientifiche. E i diversi Paesi si sono adeguati. Se è raccomandato sopra o sotto i 60 anni non è una decisione politica, non è un presidente del consiglio, un ministro o un presidente di Regione che decide». E ha concluso: «Dobbiamo affidarci a chi ci ha guidato in questa stagione: le agenzie regolatorie, il Comitato tecnico scientifico, gli esperti che legittimamente possono cambiare opinione. Le evidenze scientifiche sono cambiate ed è la comunità scientifica che ci guida. Quando le indicazioni su un vaccino cambiano è perché l’evoluzione dell’evidenza scientifica è cambiata».  

Sul mix di vaccini diversi tra prima e seconda dose per gli under 60 è intervenuto anche il sottosegretario alla Salute Andrea Costa. «Dobbiamo rinnovare la massima fiducia nella scienza e nella nostra comunità scientifica e mi riferisco in particolare ai nostri enti Ema e Cts».  Una presa di posizione che ha l’obiettivo di stoppare le polemiche sugli open day e i dubbi dai presidenti che si sono trovati a dover rivedere l’organizzazione della campagna dopo il cambio di rotta, il quarto, sul vaccino di AstraZeneca. Indicazione che non è stata accolta da tutti.

DE LUCA PUNTA I PIEDI

De Luca ha puntato i i piedi. Ha fatto sapere che non darà seguito all’indicazione di vaccinare con Pfizer e Moderna gli under 60 che hanno avuto la prima dose di AstraZeneca. Speranza cita i numeri prima di arrivare alle conclusioni, perché l’obiettivo di tutti – governo e regioni – deve rimanere quello di arrivare  all’immunità  di gregge prima possibile e dunque entro la fine di settembre, come ha promesso il Commissario per l’emergenza Francesco Paolo Figliuolo: un italiano su due ha avuto la prima dose, si sono superati i 42 milioni di somministrazioni e 14 milioni di italiani hanno concluso il ciclo vaccinale.

«La campagna di vaccinazione è l’arma vera che abbiamo per chiudere questa fase e aprirne una diversa. Dobbiamo insistere su questo terreno e continuare con ogni energia». Per farlo, le Regioni devono seguire le indicazioni del governo. Su AstraZeneca, dice Speranza, le autorità sanitarie hanno ulteriormente precisato che va evitato per chi ha meno di 60 anni, rendendo perentoria la raccomandazione che già c’era. Una «posizione chiara e netta delle autorità» e per questo «chiediamo alle autorità regionali di allinearsi ai piani». Le indicazioni degli scienziati, ribadisce, vanno “assolutamente rispettate”.

Fine della questione? No, come dimostrano le parole di Vincenzo de Luca. Per gli under 60 che sono stati vaccinati con AstraZeneca «non si somministrano vaccini diversi dalla prima dose, sulla base di preoccupazioni scientifiche che invieremo al governo» dice il presidente della Campania annunciando anche un’altra scelta contraria a quelle del governo: la regione non  somministrerà  più vaccini a vettore virale, dunque  AstraZeneca ma anche J&J, neanche a chi ha più di 60 anni.

Resta irrisolta la questione più spinosa, vale a dire di chi sia la responsabilità degli open day con AstraZeneca somministrato agli under 60, organizzati dalle Regioni anche sulla base di una lettera in cui il Cts non rilevava «motivi ostativi». Ricostruire le responsabilità è difficile. Gli open day garantivano a tanti di vaccinarsi subito, con la raccomandazione del Cts di usare AstraZeneca solo per persone di una certa età. È stata seguita? Oppure pur di smaltire le scorte avanzate si è proseguito a vaccinare senza controllo?

GIMBE SOLLEVA DUBBI SUL MIX VACCINALE

Le perplessità sono legittime ma sono scelte che non competono ai presidenti delle Regioni. «Non abbiamo alcuno studio controllato e randomizzato – esprime i suoi dubbi Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe – ad oggi le uniche evidenze scientifiche che abbiamo, oltre a basi razionali sia immunologiche che biologiche, sono 4 studi piccoli che complessivamente hanno arruolato un migliaio di pazienti che dimostrano che la reazione dopo il mix di vaccini è buona e non ci sono effetti avversi rilevanti». Finché l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) non modifica i bugiardini, il mix di vaccini è a tutti gli effetti off label”, ovvero al di fuori delle condizioni autorizzate dagli enti predisposti. «Come avverrà – si chiede Cartabellotta – il sistema di vaccino vigilanza in questa ‘vaccinazione creativa’. Alcune  Regioni  hanno detto che non faranno il mix di vaccini, perché vogliono una maggiore sicurezza. Ma le evidenze scientifiche su questo argomento sono ancora preliminari e mantengono un certo margine di incertezza».

BOCCIA: URGE CONFRONTO IN PARLAMENTO SUL TITOLO V

Lo scontro Stato-Regioni potrebbe andare avanti per un bel pezzo. Come se ne esce? La “guerra dei vaccini” si porta dietro le tante incongruenze e la mancata riforma del Titolo V. «Ci può essere un confronto ma va fatto in Parlamento – è la risposta di Francesco Boccia, ex ministro agli Affari regionali, esponente Pd – Comunque il tanto bistrattato Titolo V sulla sanità indica una strada molto chiara. Se c’è una cosa che bisogna fare adesso in Parlamento è completare la definizione dei livelli essenziali di prestazione, per la quale io mi sono battuto da ministro.

Il legislatore alcuni di questi aspetti non li ha attuati fino in fondo. Il Covid ci ha sbattuto in faccia una verità: il diritto universale alla salute non può mai più essere compresso da vincoli di bilancio. Questo per me era già molto chiaro erano altri che pensavano che il diritto alla salute fosse un costo».


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