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Oltre 221 milioni di euro da pagare al resto d’Italia per i ricoveri fuori regione. E la fetta più grossa finirà nelle tasche della Regione Lombardia.

I dati sono quelli della mobilità sanitaria passiva della Calabria, una enorme emorragia di persone che scelgono di andare a curarsi fuori e forse il più importante indicatore della crisi qualitativa e di fiducia attorno al sistema sanitario calabrese.

Gli ultimi dati disponibili trasferiti dalla Regione al ministero si riferiscono all’anno 2019 e parlano di 53.886 interventi fuori regione, pari al 19,6% dei ricoveri totali riferibili alla regione. La maggior parte delle prestazioni non sono legate ad interventi ad alta specialità.

Più del 30% delle risorse è assorbito da interventi possibili anche in Calabria (dove certamente non mancano le eccellenze). Al primo posto c’è la chirurgia generale, a seguire gli interventi di ortopedia e traumatologia e al terzo l’ostetricia ginecologica. Oltre la metà di tutti questi interventi non rappresentano urgenze, il 60 % circa dei ricoveri fuori regione è programmato.

Circa 25.733 casi sono classificati come “programmato non urgente” e 6.660 come “programmato con preospedalizzazione”. I ricoveri “urgenti” sono intorno al 19% (10.077), il “day-hospital/day-surgery” circa il 20% (10.659). A guadagnarci sono tre regioni: la prima è la Lombardia (circa 54 milioni per 11.478 ricoveri), segue il Lazio (32 milioni circa per 8.695 ricoveri) e poi l’Emilia Romagna (27 milioni circa per 5.830 prestazioni).

CRISI STRUTTURALE – Questi numeri raccontano di una Calabria a pezzi e di un commissariamento che ha smantellato soprattutto i presidi di confine. I diciotto ospedali chiusi negli anni e l’assenza di un sistema integrato di assistenza territoriale efficiente sono le ragioni principali di questa fuga. Ne è convinto soprattutto il consigliere regionale del Pd Carlo Guccione, che trova anche le soluzioni. Un piano strutturale che però necessita di tempo e denaro perché si tratta di rifondare del tutto il sistema Calabria.

«Il Recovery Fund – dice – metterà in atto una vera e propria rivoluzione. Il primo punto riguarderà il ruolo cruciale delle Case della Comunità: in Calabria ne sono previste 96. Sono previsti poi gli Ospedali di Comunità: 38 in Calabria. Saranno il punto di riferimento per ricoveri brevi e per pazienti che necessitano di interventi a media e bassa intensità di cura. Un altro punto riguarda le cure domiciliari e il potenziamento della telemedicina. Si farà in modo che almeno 10 per cento della popolazione over 65 più bisognosa venga curata a domicilio. E poi ci saranno le Centrali Operative Territoriali – una ogni 100 mila abitanti – che avranno la funzione di coordinare i servizi domiciliari con gli altri servizi sanitari e territoriali».

AGLI ULTIMI POSTI – D’altra parte i numeri sono impietosi e hanno nuovamente relegato la Calabria all’ultimo posto nella classifica nazionale. Sui livelli essenziali di assistenza non si va oltre il punteggio di 125. Cifre fredde che uniscono al loro interno l’intero “sistema sanità” calabrese, le attività svolte negli ospedali e sul territorio ma soprattutto la loro “qualità”. Nel 2019 le cose sono andate molto male anche sul piano qualitativo.

A parte la percentuale ricoveri fuori regione il sistema dell’emergenza-urgenza è andato in pesantissimo affanno: in media sono passati 22 minuti tra la chiamata e l’arrivo dei mezzi di soccorso. Molto bassi anche i dati sugli screening oncologici mentre la percentuale di parti cesarei in strutture con meno di 1000 parti all’anno è rimasta molto alta (29,6%). Dato che non è migliorato neanche nelle grandi strutture (25,9%).

LO SCIPPO DELLE REGIONI – E poi ci sono i “furbetti”, regioni che negli anni hanno lucrato sull’emergenza sanitaria calabrese. Uno scippo di almeno 50 milioni all’anno per ricoveri non riferibili a persone residenti in Calabria. La Regione se ne era accorta nel 2018 dopo decenni di controlli mai effettuati.

In fase di analisi sugli oltre 320 milioni di euro di mobilità passiva relativi a tre anni fa spuntarono migliaia di ricoveri registrati alla Calabria ma non riferibili a residenti. «Per gli anni 2018 e precedenti – scriveva l’allora direttore generale del dipartimento Salute Antonio Belcastro – l’assenza di controlli e le mancate contestazioni da parte della Regione Calabria, e alcuni comportamenti opportunistici, hanno determinato saldi di mobilità passiva recanti addebiti verosimilmente inappropriati, quantificabili in circa 50 milioni di euro annui». Di quella ricognizione oggi è rimasto solo un conto salatissimo.


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