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Prossimità, comunità, presa in carico globale della persona, domiciliarità. Sono le parole chiave richiamate in queste ore dal ministro Roberto Speranza in tema di salute mentale.

Ma è anche tutto quello che ad oggi manca nel Mezzogiorno d’Italia. Dove – per quanto riguarda strutture territoriali, posti letto, personale, prestazioni erogate e spesa pro-capite – i numeri restano ampiamente al di sotto della media nazionale. Le “debolezze che ancora esistono in molte parti del Paese” – a cui lo stesso Speranza fa riferimento alla presenza del ministro della Giustizia Marta Cartabia e del ministro del Lavoro, Andrea Orlando, durante la seconda Conferenza Nazionale promossa dal suo dicastero “Per una salute mentale di Comunità” (mai più convocata dal 2001) – dovranno essere affrontate rilanciando l’assi-stenza territoriale e domiciliare.

Concretamente, stavolta. Tentando di portare a compimento in tempi brevi anche la negoziazione richiamata dallo stesso Speranza riguardo i fondi strutturali previsti, non è un caso, per le 7 regioni del Sud e visti i numeri che dividono l’Italia in due. Realizzando nei fatti la scelta – considerata un esempio a livello internazionale – del nostro Paese di prevedere per l’assistenza e la cura della salute mentale proprio servizi sul territorio e di prossimità, quanto mai necessari anche alla luce dei nuovi disagi legati alla pandemia e sempre più diffusi soprattutto tra i più giovani.

“Gli effetti del Covid, e delle misure di prevenzione, hanno influito profondamente sulla psiche delle persone, aumentando disturbi come ansia e depressione e peggiorando malattie già in atto” ha sottolineato in proposito il presidente della Fnomceo, la Federazione degli Ordini dei Medici, Filippo Anelli. Che ha ribadito, rispetto alle parole di Speranza, la necessità di ridurre le disuguaglianze nell’accesso alle cure e rafforzare l’assistenza territoriale, coinvolgendo tutte le professioni ed integrando le risorse.

LE SCELTE ITALIANE ED I LEA

Se l’OMS indica l’Italia come punto di riferimento per la chiusura dei manicomi civili voluta nel ’78 con la legge Basaglia e per il superamento, almeno iniziato, nel 2014 per la chiusura dei manicomi giudiziari, l’attivazione di una rete di servizi territoriali per la salute mentale resta ancora in alto mare, con tutte le criticità evidenziate dal Tavolo tecnico istituito nel 2019. Il quale – tracciando un bilancio circa l’attuazione del Piano di Azioni Nazionale per la Salute mentale (approvato in Conferenza Unificata il 24 gennaio 2013) – ci dice che in 8 anni solo il 49.5% degli obiettivi prioritari sono stati recepiti dalle Regioni.

Ciò che emerge, oltre ad una carente organizzazione dei servizi ed alla necessità resa impellente dalla pandemia di aggiornare le forme di disagio, è un’ampia diseguaglianza sia fra regioni che all’interno delle regioni stesse per accesso alle cure, assistenza, risorse disponibili, sviluppo della rete territoriale. Differenze rispetto alle quali “dovrà essere rafforzato – sostiene il Ministro – il sistema di monitoraggio del rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza”. Il punto centrale diventa ancora una volta quello della distribuzione delle risorse e del loro utilizzo riguardo il territorio.

Al netto del necessario avanzamento culturale ed etico in tema di salute mentale (il Gabinetto del Ministero ha inviato nei giorni scorsi alla Conferenza Permanente per i Rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, la bozza di documento e lo schema di Accordo per il Superamento della contenzione meccanica nei luoghi di cura della salute mentale), l’idea del Ministero della Salute è quella di lavorare con le Regioni su più fonti di finanziamento: la quota parte dei fondi 2021 vincolati al perseguimento degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale ed i i fondi ex articolo 20 (edilizia sanitaria) per la riqualificazione di quelle strutture territoriali dedicate alla salute mentale. E, appunto, sperando nell’utilizzo dei fondi strutturali che potrebbero essere destinati a progetti di intervento specifici “con un forte impegno del livello nazionale a sostegno delle realtà meno attrezzate”, secondo Speranza.

LA FORBICE NORD-SUD

I numeri attuali – gli ultimi disponibili – lo richiederebbero. Anzi, lo richiede-rebbero le “abissali differenze”, come le definisce Fabrizio Starace, Presidente della Siep – Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica, componente del Consiglio Superiore di Sanità e Direttore del DSMDP presso l’AUSL di Mode-na, in un articolo apparso su Panorama della Sanità nel gennaio di quest’anno.

“L’emergenza pandemica – scrive Starace – ha richiamato l’attenzione del Paese a quello che oggi può definirsi “il problema dei problemi” della sanità italiana e del sistema di cura per la salute mentale: le disuguaglianze determinate dall’autonomia organizzativa e gestionale delle singole Regioni”. Specificando che, se la spesa per la salute mentale calcolata nel 2018 (ultimo dato disponibile) è di 3.956.194.000 euro (il 94,6% del costo è relativo alla spesa territoriale), pari al 3,6% del Fondo Sanitario Nazionale ed il costo pro-capite per residente è pari a 78,1 euro – in crescita rispetto all’anno 2015 (73,8) – i valori regionali variano da un minimo di euro 48,6 in Basilicata (-37,8%) ad un massimo euro 163,5 nella P.A. di Trento (+109,5%). Anche la P.A. di Bolzano mostra un costo medio annuo per residente superiore al 50% del valore di riferimento nazionale (69,1%), ma la maggior parte delle Regioni si discosta in negativo dal valore medio di circa il 30%.

La raccolta scientifica dei dati e l’analisi dei trend 2015-2018, curata dalla Siep attraverso gli indicatori ricavati dai Rapporti Salute Mentale (RSM) del Ministero Salute – consente un approfondimento della forbice Nord/Sud su molti altri fronti. Considerati alcuni dati generali di partenza: il censimento del 2018 riguarda 143 Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) e la rete dei servizi, costituita da Centri di Salute Mentale, centri diurni e strutture residenziali, conta 3.892 strutture, tra servizi territoriali, servizi residenziali e servizi semiresidenziali. 4.910 posti letto di degenza ordinaria, di cui 83,8% pubblici e 16,2% privati. Più della metà delle Regioni (16 su 21) hanno esclusivamente posti letto pubblici.

Risultano inoltre disponibili 25.932 posti in strutture residenziali e 14.578 posti in strutture semiresidenziali. Il costo complessivo dell’assistenza psichiatrica è stato di 3.956.194.000 euro (il 94,6% del costo è relativo alla spesa territoriale), con un costo medio annuo per residente pari a euro 78,1.

STRUTTURE TERRITORIALI, RESIDENZIALI E SEMIRESIDENZIALI

Secondo Siep, il tasso di strutture territoriali psichiatriche in Italia è pari a 2,5 su 100.000 abitanti. A variare, e fortemente, sono i valori regionali. La Basilicata, con un minimo di 0,8 strutture territoriali per 100.000 abitanti (-66,7%), è la regione italiana più povera del Paese per rete di servizi territoriali.

Al primo posto, invece, troviamo il Friuli-Venezia Giulia, con 8,4 strutture (+239,3%) ed una rete assistenziale non solo ricca, ma anche diffusa sul territorio in modo capillare. Toscana, Veneto e Sicilia presentano un numero di strutture territoriali psichiatriche sensibilmente superiore al valore medio nazionale (rispettivamente +128,0%, +95,2% e +57,5%), mentre i valori più bassi si riscontrano in Basilicata (-66,7%), Molise (-54,7%) e Liguria (-52,3%).

Anche per le strutture residenziali psichiatriche i valori regionali variano da un minimo di 0,2 strutture residenziali / 100.000 abitanti in Calabria (-93,5%) e in Campania (-81,5%) ad un massimo di 10 in Umbria (+166,8%). Così come per le strutture semiresidenziali (1,6 strutture per 100.000 abitanti nazionale) si va da un minimo di 0,1 strutture semiresidenziali / 100.000 ab. in Calabria (-96,3%) ad un massimo di 14,6 in Toscana (+789,5%), con un numero significativamente inferiore rispetto al valore di riferimento nazionale si rileva in Molise (-54,1%).

POSTI LETTO OSPEDALIERI E IN STRUTTURE PSICHIATRICHE

Sempre secondo Siep, se il tasso di posti letto ospedalieri in Italia è pari a 9,7 / 100.000 ab., i valori regionali variano da un minimo di 3,5 posti letto ospedalieri di degenza ordinaria / 100.000 ab. in Friuli-Venezia Giulia (-64,1%) ad un massimo di 22,9 in Veneto (+136,4%). Ma se valori superiori al 50% dal riferimento nazionale si riscontrano nella P.A. di Bolzano (+52,3%), un numero di posti letto inferiore al 50% di quello di riferimento si riscontra in Campania (-62,6%). Per i posti in strutture psichiatriche, si va dai 9,7 posti in strutture residenziali psichiatriche / 100.000 ab. in Calabria (-81,1%) ad un massimo di 166,3 in Valle D’Aosta (+225%). Al Sud, anche le strutture semiredenziali dispongono di pochissimi posti: 7,2 in Calabria (-74,9%) contro un massimo di 65,4 in Friuli-Venezia Giulia (+127,2%).

PERSONALE E PRESTAZIONI PER UTENTE

Per quanto riguarda la dotazione del personale addetto alla salute mentale, se a livello nazionale sono quasi 52 gli operatori ogni 100.000 abitanti (in calo rispetto all’anno 2015 (57,7 / 100.000 ab.), il numero varia molto a livello territoriale, con l’unica “certezza” però di valori mediamente più elevati al Nord e più bassi nel Centro-Sud. Se il Lazio conta sul minimo di 16,8 operatori (-67,6%), in Valle D’Aosta ce ne sono 91,7 in Valle D’Aosta (+77,2%). E le Regioni con valori molto più alti della media nazionale sono la Liguria (+64,2%), la P.A. di Trento (+59,5%) e il Friuli-Venezia Giulia (+64,2%).

Ogni utente poi, in Italia, può contare su 14,2 prestazioni, in crescita rispetto all’anno 2015 (13,5). Ma si va da un minimo di 6 in Abruzzo (-58,1%) ad un massimo di 50,9 per il Friuli-Venezia Giulia (+258,3%). Valori superiori al 50% del valore medio nazionale si riscontrano anche in Emilia-Romagna, Toscana (entrambe +70,3%) e nelle Marche (62,8%). Quasi tutte le altre Regioni però erogano un numero di prestazioni per utente trattato inferiore a quello di riferimento nazionale.


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